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APPROFONDIMENTI

E’ possibile impiantare nella mente di un adulto falsi ricordi di esperienze traumatiche risalenti all’infanzia?

02/08/2006

E’ possibile impiantare nella mente di un adulto falsi ricordi di esperienze traumatiche risalenti all’infanzia?

Attorno a questo quesito di estremo rilievo si dipana, ormai da tempo, un acceso dibattito scientifico che ha visto contrapposti, talvolta in modo radicale, folte schiere di scienziati, ricercatori e professionisti che operano nel settore della psicologia forense e della psicoterapia. Gli studi sulla fallibilità della memoria autobiografica, la diatriba sul ritorno del rimosso, le evidenze empiriche sugli effetti connessi a pressioni suggestive ed interpersonali sono settori di indagine che si trovano -come ad un crocevia- sinergicamente intrecciati a generare un panorama di conoscenze quanto mai fascinoso e complesso.
Poche controversie all’interno della psicologia hanno assunto toni così drammatici come quella concernente la veridicità/falsità dei ricordi repressi o recuperati di esperienze traumatiche infantili, specialmente in relazione a contesti altamente problematici come quelli di abuso sessuale. Già a partire da metà degli anni ’70 fino ed oltre il boom degli anni ’90, con la fondazione della False Memory Syndrome Foundation nel 1992 (Freyd, 1999), sono proliferati infatti molteplici studi sperimentali che, partendo dal concetto di ricordo ed esperienza traumatica, hanno cercato di individuare un modello capace di impiantare un falso ricordo autobiografico per poterne meglio studiare le caratteristiche e gli effetti sulla persona.
Per ridurre la questione ai minimi termini possiamo affermate che il fulcro nodale che sostanzia questo settore di studi si dipana attorno alla domanda se la memoria, in particolare quella infantile o quella che riguarda esperienze infantili, sia sufficientemente accurata e precisa oppure sia vulnerabile alla suggestione e, in quanto tale, imprecisa o addirittura inesatta fino al punto da generare falsi ricordi.
Gli studi ormai classici condotti nel campo della psicologia testimoniale in prevalenza su materiale di tipo neutro e non autobiografico (ad esempio l’esposizione ad uno filmato, un racconto, una scenetta quale un incidente d’auto, un furto, etc.) sull’effetto di misinformazione (Pezdek, 1977; Loftus et al., 1978; Schooler & Loftus, 1986; Zaragoza & Mitchell, 1996) hanno evidenziato che la presentazione di un’informazione erronea successiva all’esposizione allo stimolo può interferire con i processi di recupero del materiale mnestico, favorendo l’accettazione dell’elemento fuorviante suggerito attraverso domande formulate in modo induttivo.
Questo filone di ricerca porta a concludere che a certe condizioni non tutti, ma una certa percentuale di soggetti distorce le informazioni e può farle proprie incorporandole nel ricordo dell'evento originario. Non è tuttavia affatto chiaro se questo fenomeno agisca solo nelle condizioni in cui il materiale da ricordare sia del tutto nuovo e sconosciuto o anche quando il riferimento è ad esperienze personali di eventi realmente vissuti e se la valenza negativa o positiva dell’evento stesso abbia un peso (Di Blasio & Vitali, 2004).
Occorre, pertanto, tener presente che rievocare erroneamente non equivale a possedere un falso ricordo. Infatti, l'acquisizione di informazioni errate non necessariamente determina la cancellazione o l'alterazione permanente delle preesistenti tracce mnestiche (McCloskey & Zaragoza, 1985). Più propriamente si possono verificare fenomeni di sovrapposizione o appaiamento delle informazioni provenienti da diverse fonti rispetto alle quali il soggetto deve operare una scelta (Bartlett, 1932; Mazzoni, 1991).
Sulla scia di questi risultati si è andato, in seguito, affermando il tentativo di impiantare falsi ricordi infantili nella mente di soggetti adulti, sulla base delle ricerche pionieristiche di Loftus (Loftus, 1993), in cui Chris, un ragazzo di 14 anni, sottoposto a sedute sperimentali suggestive, riferì in dettaglio il ricordo di un’esperienza infantile che non aveva in realtà mai vissuto. L'effetto della potente suggestione derivava dal fatto che, nella procedura di ricerca, una persona significativa, in questo caso il fratello, aveva raccontato e sostenuto con forza di ricordare che Chris a 5 anni si era perso in un grande centro commerciale per un periodo prolungato di tempo. L’effetto di questo esperimento fu che Chris non solo produsse un racconto dettagliato e ricco della vicenda, in due interviste successive a quella suggestiva, ma valutò anche la chiarezza del proprio ricordo come molto elevata, proprio come se ritenesse di averlo realmente vissuto (Loftus & Ketcham, 1994). A partire da questo risultato su un singolo soggetto, Loftus e coll. hanno cercato di perfezionare il paradigma di ricerca facendo leva sul potere persuasivo derivante dall'affidamento che abitualmente si ripone sul giudizio/ricordo di una persona affettivamente importante.
Questo paradigma di studio, tuttavia, nel suo evolvere non sempre ha sostenuto una corretta applicazione dei dati, soprattutto in relazione al fatto che spesso sono stati impropriamente estesi ad ambiti applicativi non rigorosamente scientifici, subendo una peculiare contaminazione che li ha visti come un insieme indistinto, impiegati per dimostrare l’estrema fallacia e vulnerabilità dei meccanismi psichici o per sostenere l’autonomia e la resistenza alle pressioni altrui (Di Blasio & Vitali, 2004).
Sulla base delle ricerche condotte dal gruppo di Loftus, altri ricercatori, adottando metodologie analoghe o la procedura originale, hanno cercato in seguito di estendere i risultati ottenuti ad altre tipologie di ricordi meno usuali come trascorrere una notte in ospedale (Hyman et al., 1995; Devitt, 1995), avere una mano incastrata in una trappola per topi (Ceci et al., 1994a), rovesciare ad un matrimonio la ciotola del punch sul vestito dei genitori della sposa (Hyman & Pentland, 1996), cadere dal triciclo e ferirsi ad un ginocchio (Ceci et al., 1994b), presenziare ad un rito religioso (Pezdek et al., 1997), aver rotto una finestra con la propria mano (Heaps & Nash, 1999) e altri ancora. I risultati di questi tentativi non hanno condotto a confermare pienamente i risultati delle ricerche pionieristiche di Loftus (Di Blasio & Vitali, 2004).
Ma quali sono allora le condizioni che determinano o facilitano la creazione di un falso ricordo? Non tutti gli eventi hanno la stessa probabilità di aderire alle strutture di memoria già esistenti, dato che il livello di familiarità degli episodi rispetto alle esperienze reali del soggetto e soprattutto la loro intrinseca plausibilità, giocano un ruolo affatto secondario. Pedzek et al. (1997) e Pedzek & Hodge (1999) hanno, infatti, dimostrato che non tutti i falsi ricordi possono essere impiantati e soprattutto che quanto più essi si discostano da attività o eventi routinari tanto più diventa difficile riuscire ad immetterli in memoria. Gli autori sottolineano come il livello di plausibilità sia una delle variabili mediatrici più importanti nella strutturazione dei ricordi. Resta infatti un punto fermo nella ricerca che eventi fuori del comune e soprattutto eventi che fanno direttamente leva su esperienze corporee dolorose o intime sono impossibili da assimilare come falsi ricordi, perché nella memoria dell’individuo non esiste lo script corrispondente e nemmeno può essere creato a posteriori, a causa della natura straordinaria dell’esperienza stessa. Non è, infatti, possibile impiantare un falso ricordo relativo, ad esempio, all’esperienza di un clistere, situazione peraltro molto più similare all’esperienza di un abuso sessuale, rispetto alla paura di perdersi in un grande magazzino (Pedzek et al., 1997; Pedzek & Hodge, 1999), condizione più comune e diffusa, per la quale è possibile che ognuno si costruisca nel corso della vita uno script.
E’ stato poi dimostrato che vi sono altri fattori che possono, invece, facilitare l’instaurarsi del fenomeno suggestivo: il ricorso a tecniche immaginative o tecniche associano al paradigma del falso ricordo la richiesta di descrivere immagini mentali Anche particolari tecniche d’interpretazione di sogni (Belli & Loftus, 1994; Mazzoni et al., 1999) o forme di rilassamento e/o di regressione ipnotica (Lynn, Malinosky & Sivec, 1996) sembrano condizioni che incrementano il rischio di creazione di falsi ricordi e gli effetti di falsa sicurezza rispetto alla rievocazione di eventi autobiografici.
Ma gli effetti di suggestionabilità devono essere intesi come una funzione dell’interazione tra la natura della pressione interpersonale esercitata dall’interlocutore e la propensione/tratto individuale alla suggestionabilità (Brown et al., 1998). Vi sono, infatti, individui che sono in grado di resistere agli effetti suggestivi in condizioni connotate da forti pressioni esterne, mentre altri più suggestionabili che, in qualunque condizione, possono accettare le informazioni fuorvianti che vengono loro suggerite.
Risulta, quindi, importante anche valutare il ruolo della suggestionabilità individuale rispetto alla possibilità di creazione di un falso ricordo infantile.
Questi aspetti sono stati indagati in una ricerca condotta su un campione di 54 giovani adulti -selezionati a partire da un campione di 188 soggetti-, suddivisi in gruppi differenziati per punteggi di alta e bassa suggestionabilità (attraverso la scala GSS1 di Gudjonsson, 1984) e sottoposti al paradigma del falso ricordo (con un falso episodio traumatico connesso ad una lieve violenza fisica risalente all’epoca di 7 anni, Di Blasio & Vitali, 2003).
Complessivamente i risultati hanno messo in evidenza che:
- non è sufficiente fare affidamento sul giudizio di una persona affettivamente significativa (in questo caso un genitore) per accettare come vera una falsa esperienza e produrne un ricordo dettagliato a cui corrisponda la formazione di una traccia mestica accessibile e recuperabile nel tempo;
- non è sufficiente una condizione di suggestione strutturata sulle richieste implicite indotte dal contesto o da pressioni di natura interpersonale per indurre un falso ricordo di un’esperienza traumatica a valenza fisica risalente ad un epoca infantile in un soggetto giovane-adulto;
- la memoria autobiografica relativa ad episodi risalenti all’infanzia è una funzione solida ed affidabile che permette una rievocazione accurata degli eventi realmente accaduti e una corretta discriminazione rispetto a materiale mnestico nuovo o falso;
- i soggetti altamente suggestionabili posti di fronte a materiale mnestico di natura neutra manifestano maggiori difficoltà nella rievocazione, una tendenza a prestare minor attenzione ai propri processi metacognitivi e una minore resistenza cognitiva soprattutto rispetto agli effetti di pressione interpersonale; questo tuttavia non implica che il livello di suggestionabilità individuale sia determinante rispetto alla possibilità di indurre il falso ricordo di un’esperienza traumatica e non plausibile mai vissuta (Vitali, 2003).

Risulta, globalmente, evidente come la suggestionabilità come tratto individuale non costituisca un mediatore centrale del fenomeno; attraverso il preventivo controllo della veridicità/falsità degli eventi sottoposti all’attenzione dei soggetti sottoposti alla ricerca, si è potuto verificare che nemmeno l’induzione suggestiva intesa come specifica forma di pressione interpersonale legata alle procedure d’intervista abbia condotto alla creazione di falsi ricordi.
Proprio per l’estrema delicatezza delle implicazioni connesse a questo filone di ricerca, il pattern di risultati che emerge dal presente lavoro acquista un interesse anche per quanto concerne il ruolo delle rivelazioni di abuso, maltrattamento e violenza che vengono effettuate, in contesti testimoniali o psicoterapici, in età adulta in relazione ad episodi accaduti nell’infanzia.
La complessa questione dei falsi ricordi viene chiamata in causa ogniqualvolta viene alla luce un abuso sessuale non confermato dalle dichiarazioni dell'abusante e ogniqualvolta un soggetto adulto recupera il ricordo di violenze subite in epoca infantile, condizioni che pongono all’attenzione di ricercatori, psicologi clinici, esperti di psicologia testimoniale, nonché alla stessa opinione pubblica, la delicata questione della valutazione della validità e accuratezza delle dichiarazioni infantili e la comprensione dei meccanismi che regolano il riemergere di materiale mnestico dimenticato, represso o rimosso. I dati emersi supportano complessivamente la posizione di coloro che non considerano possibile instillare un falso ricordo di un’esperienza traumatica plausibile che invade la sfera corporea risalente ad un’epoca infantile (Vitali, 2003).
Questo tipo di modello si rivela fortemente congruente con i risultati di Pezdek & Roe (1997) che dimostrano che è molto più semplice alterare o modificare ricordi di eventi mai accaduti, piuttosto che impiantarli ex novo. Ci preme a questo punto ricordare anche che alterare i ricordi di eventi neutri e non personalmente coinvolgenti non corrisponde affatto ad instillare falsi ricordi di interi episodi traumatici (Oakes & Hyman, 2000).
Risulta, alla luce di queste evidenze, incontrovertibile quanto sia fondamentale mantenere un atteggiamento scientificamente fondato, evitando di decontestualizzare risultati ottenuti in laboratorio ad ambiti di vita normale e di generalizzare dati derivanti da paradigmi teorico-applicativi settoriali alla pratica forense o psicoterapeutica, senza preventivamente considerarne le caratteristiche e specificità.


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