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Welfare state e qualità dei servizi alla persona


L'emergere del problema "qualità" nell'evoluzione del welfare state in Occidente
La riforma per migliori cure sanitarie è stata avviata nel quadro di una presa di coscienza civile e politica che i pazienti sono anche cittadini, fruenti di diritti di cittadinanza.
La qualità delle cure per la salute, nel welfare state, deve essere centrata sulla relazione positiva tra l'efficienza delle prestazioni dei servizi e i bisogni umani dell'utenza.
Articolo 32 della costituzione del 1948 3 SSN del 1978.
Un tratto saliente della qualità delle cure per la salute riconosciuto a questo modello di welfare (introdotto da Beverdige) viene qualificato come universalismo anzitutto come superamento dell'assistenzialismo, e cioè superamento della netta separazione, precedente al welfare state, nel momento del bisogno di cure, tra i ricchi e i poveri.
Oltre all'universalismo delle cure, con prelievo tributario e contributivo di tutti i cittadini contribuenti in proporzione alla capacità contributiva di ciascuno, l'esperienza del primo welfare state si è caratterizzata anche per il monopolio statale nella produzione e gestione spesso diretta di beni e servizi erogati per il benessere di tutti i cittadini.
Tale welfare state ha assicurato, fino alla fine degli anni 70, un'espansione lineare crescente di impegni e di spese pubbliche. Poi si è cominciato a parlare di crisi del modello e solo con gli anni 90 di questo secolo l'Europa occidentale ha iniziato a sperimentare correzioni al modello in crisi.
Tra i paesi che sono arrivati tardi all'attuazione del modello, vi è stato anche il nostro paese in cui il welfare state sanitario vero e proprio risale al 1978.
La prima critica al forte modello post-bellico di welfare state si p concentrata nella denuncia del centralismo burocratico gestionale pubblico, nella persistente asimmetria dei rapporti fra chi dà e chi riceve, nella non applicazione del principio di sussidarietà e tali disfunzioni sono apparse come carenze di qualità delle cure.
L'emergere del problema della qualità delle cure, dalla metà degli anni 80 in Occidente, ha avuto come primo esito quello di spingere a bilanciare i diritti sociali con la tutela e auto-tutela dei diritti civili e politici dei cittadini utenti.
L'enfasi sulla libertà di scelta e di controllo sulle cure ricevute, ha prodotto propensioni eccessive in senso opposto allo statalismo, con inclinazioni ad una pervasiva apertura al mercato. Tale tendenza ha ricevuto, per contro, potenti correttivi solidaristici dovuti all'affermarsi delle organizzazioni di volontariato e di terzo settore, proprio negli anni di maggior percezione della crisi del welfare state.
Due sono apparse le più diffuse revisioni del primo welfare state:
quella in termini di più gestione economica di mercato, per più efficienza;
e quella nei termini di più solidarietà e sussidarietà, con la comparsa di nuovi attori sociali di welfare, di tipo associativo e partecipativo, nella forma di gruppi di volontariato, di gruppi di famiglie, di cooperative, ecc.
tale divaricazione si è riflessa anche nelle metodologie di indagini:
chi ha seguito la correzione dello stato sociale più dalla parte del mercato e delle sue logiche concorrenziali, ha puntato a ricercare la qualità come misurabile in termini aziendali, secondo metodologie e pratiche gestionali e organizzative già affermatesi a livello industriale;
altri hanno puntato a misurare la qualità o meno delle cure come connessa o meno a soddisfazione dei consumatori (consumer's satisfaction). In questo secondo caso gli accertamenti si sono semplificati nella forma di sondaggi su campioni di consumatori singoli, spesso attraverso telefonate anonime.

Tratto da VALUTARE LA QUALITÀ IN SANITÀ di Angela Tiano
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