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Il Manifesto dei 101

29 ottobre 1956

Il primo intervento sovietico in Ungheria moltiplica le voci di dissenso tra gli intellettuali di sinistra, i quali deplorano l'azione sovietica attraverso una lettera-documento conosciuta come Il Manifesto dei 101. Bastano poche ore perché, presso le Edizioni Einaudi e nella sede della rivista Società diretta da Carlo Muscetta, il Manifesto venga sottoscritto da numerosi intellettuali. I firmatari formano un campione significativo del dissenso comunista: sono rappresentati un gruppo di storici (Renzo De Felice, Luciano Cafagna, Salvatore Francesco Romano, Piero Melograni, Roberto Zapperi, Sergio Bertelli, Francesco Sirugo, Giorgio Candeloro); gli universitari comunisti romani (Alberto Caracciolo, Alberto Asor Rosa, Mario Tronti, Enzo Siciliano); il filosofo Lucio Colletti; critici (Dario Puccini, Mario Socrate, Luciano Lucignani); artisti e studiosi d'arte (Lorenzo Vespignani e Corrado Maltese); uomini di cinema come Elio Petri; architetti come Piero Moroni; scienziati (Franco Graziosi e Luciano Angelucci); giuristi come Vezio Crisafulli.
Il Manifesto dei 101 espone alcune istanze precise: i partiti comunisti si devono mettere alla testa del moto popolare per sviluppare un processo di rinnovamento; dai fatti di Polonia e di Ungheria deve partire una critica precisa allo stalinismo, fondato - si dice - su una coercizione nei confronti delle masse, sull'abbandono dello spirito di libertà che si trova nel genuino pensiero dei fondatori del socialismo e sull'instaurazione di rapporti tra popoli, Stati e partiti comunisti non di parità ma di subordinazione e ingerenza; non si deve, infine, calunniare la classe operaia ungherese definendo un putsch controrivoluzionario la sua giusta rivolta. Gli intellettuali criticano il PCI sia per non aver «formulato finora una condanna aperta e conseguente dello stalinismo», sia per aver definito la sommossa di Budapest un putsch controrivoluzionario e deplorano l'intervento sovietico in quanto viola «il principio dell'autonomia degli Stati socialisti».
Sia spontaneamente, sia perché sollecitati dagli organi direttivi del Pci, nella stessa serata quattordici tra i firmatari inviano a l'Unità una dichiarazione con la quale ritirano la loro firma, perché «un documento per il dibattito interno di partito», come da loro è considerato il Manifesto dei 101, è venuto in possesso, solo dopo poche ore, «di un'agenzia borghese di informazioni»: chi ha «fornito il documento a questa fonte» ha carpito la loro «buona fede».

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