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Democrazia e politica d'emancipazione

Lo scandalo della democrazia

Riassumendo un po' i punti trattati, abbiamo visto come la democrazia è il dis-ordine, il quale consiste fondamentalmente nella "vita democratica", nella sua tendenza a contestare l'ordine politico costituito e nell'affermazione dell'individualità di ciascuno. Pertanto, esiste un odio nei confronti della democrazia, nato dallo spostamento che il suo nome ha subito negli ultimi decenni, dalla Guerra fredda alla "globalizzazione", ma che è frutto delle precedenti riflessioni sulla "crisi della democrazia" da parte della Trilaterale. Allora, il paradosso nel quale ci troviamo è che da un lato questo termine è l'emblema della società attuale, ma dall'altro è odiata la sua vitalità, la sua «maniera di essere».
Il passo ulteriore per sottolineare il "crimine della democrazia", per scoprirne lo "scandalo", è proprio l'analisi della sua "maniera d'essere", che è la politica, o meglio un'idea inedita di politica. La democrazia è, esiste, possiamo dire, politicamente, come principio politico. Quindi, ciò che viene cancellato con lo spostamento e l'ambivalenza della parola "democrazia" è la sua figura politica. Ma per capire quest'ultima dobbiamo tornare all'odio per la democrazia.
Il primo antidemocratico è, spiega Rancière, Platone, il quale, trovando nella città greca il caos democratico, non può che riflettere su ciò che è già presente. Il filosofo greco, allora, relega il regno di Crono e del pastore divino -la vera origine -nell'età della favola. Egli, scrive più avanti il nostro autore, vede nella democrazia «il rovesciamento di tutte le relazioni che caratterizzano la società umana: i governanti sembrano governati; le donne sono pari agli uomini; il padre cerca di trattare il figlio da pari; il meteco e lo straniero sono equiparati ai cittadini; il maestro teme e adula gli scolari che se ne infischiano di lui; i giovani sono pari agli anziani e gli anziani imitano i giovani; perfino le bestie sono libere e i cavalli e gli asini, coscienti della loro libertà e della loro dignità, cozzano per le strade contro chi non si scansa».
E', senz'altro, sorprendente come la critica platonica alla democrazia sia uguale a quella dei nostri giorni, dal momento in cui ci viene ripetuto che la democrazia (diretta) è una forma politica del passato che non conviene alla nostra epoca complessa. Tuttavia, a questo proposito, Rancière fa un'osservazione capitale per la nostra trattazione: sia nell'antichità che nell'epoca attuale, «il ritratto dell'uomo democratico è il risultato di un'operazione, che è allo stesso tempo sempre nuova e sempre ripetuta, volta a scongiurare un'improprietà che tocca il principio stesso della politica. La sociologia di un popolo di consumatori spensierati, di strade ingombre e ruoli sociali sconvolti, scongiura il timore di un male più profondo: che l'innominabile democrazia non sia la forma riluttante al buon governo e adatta al malgoverno, ma il principio stesso della politica, fondando il "buon" governo sulla propria assenza di fondamenti. Insomma, ciò che si vuole evitare attraverso tale operazione è che il dis-ordine democratico non sia fine a se stesso, non sia soltanto restio al buon governo, ma che sia, al contrario, il principio politico, la base ingovernabile su cui si fonda ogni governo. Infatti, afferma Rancière, il motivo profondo di questa descrizione è pure un altro: «Tutto è al rovescio, certo. Ma questo disordine è rassicurante». Ovvero, per i nemici della democrazia, se tutte le relazioni sociali sono capovolte vuol dire che si possono rimettere le cose a posto e che esiste un ordine naturale. Se la democrazia svela l'uguaglianza e se essa è il rovesciamento della natura, allora l'ordine naturale è quello della disuguaglianza, cioè si può istituire un ordine sociale che dà legittimità di detenere il potere a chi possiede ricchezza, sapere o vi è destinato per nascita. In breve, il problema di Platone e di tutti gli anti-democratici, sembra dirci Rancière, è di trovare un archè su cui istituire un ordine sociale e dividere, in tal modo, la comunità tra coloro che possiedono le competenze per governare e coloro che invece non li possiedono.
È impossibile, secondo Rancière, trovare questo principio. Ma Platone ci prova descrivendo i sette principi che permettono di occupare l'una o l'altra posizione nella città e nella casa. I primi quattro derivano dalla nascita – potere dei genitori sui figli, degli anziani sui giovani, dei padroni sui servi, di chi possiede una nobile famiglia su chi ne è privo -, il quinto e il sesto derivano dalla legge di natura – il potere del più forte sul meno forte e del sapiente sull'ignorante – e l'ultimo è il principio d'autorità. Quest'ultimo fa saltare tutti gli altri: è il caso, il sorteggio. Ed esso rappresenta uno scandalo per coloro i quali considerano proprio il potere per via dell'età, del sapere o della ricchezza. Il settimo principio mostra che non c'è bisogno di requisiti per governare e che ogni superiorità si fonda sull'assenza di superiorità.
Per quanto alle "nostre democrazie" il sorteggio possa sembrare contrario ad ogni principio serio di selezione dei governanti perché cela il rischio che si formi un governo di incompetenti, esso, malgrado ciò, serviva per scongiurare un male peggiore del governo degli incompetenti: quello di una certa competenza abile a prenderlo con l'intrigo. Ma oltre questo motivo, per l'autore dell' Odio per la democrazia, Platone mantiene questo requisito non-requisito perché sa che se un governo dev'essere politico ha bisogno di un «titolo supplementare». Affinché il sapiente governi non solo l'ignorante, ma anche sui ricchi e i poveri, oppure gli anziani non solo sui giovani, ma anche sui sapienti e gli ignoranti, e così via, ci vuole qualcosa in più, comune a tutti coloro che possiedono tali titoli, ma anche a chi li possiede e a chi non li possiede. Cioè il principio an-archico del sorteggio, dell'«uguaglianza di chiunque con chiunque altro».
Il potere politico, insomma, deve pur sempre legittimarsi, il comando deve presupporre un'uguaglianza tra colui che comanda e colui che obbedisce. Lo "scandalo" democratico consiste in questo intreccio tra uguaglianza e disuguaglianza. L'assenza di titolo per governare è il profondo sconvolgimento portato dalla democrazia. Quest'ultima, dunque, è scandalosa perché mostra che ogni governo è fondato proprio sull'ingovernabile, il quale è politico nella misura in cui ne è il principio an-archico.
Riscoprendo, in sostanza, un legame intimo tra la democrazia e la politica, Rancière ci presenta la prima non come una formula istituzionale, ma come un principio politico. Bisogna, allora, a questo punto chiedersi: in che senso la democrazia, intesa come dis-ordine, coincide con la politica? Se la democrazia è una "maniera d'essere" della politica, che cos'è la politica?

Questo brano è tratto dalla tesi:

Democrazia e politica d'emancipazione

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Informazioni tesi

  Autore: Giovanni Campailla
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Filosofia
  Corso: Filosofia
  Relatore: Stefano Petrucciani
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 55

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marx
governance
comune di parigi
politica d'emancipazione
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