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Indagini Archeologiche Strumentali nelle Acque di Marettimo

La prospezione archeologica subacquea

L'innovazione che gettò le basi per la grande storia dei palombari avvenne nel 1772, quando il francese Freminet progettò e realizzò una "macchina idrostatica" costituita da una tuta in cuoio resistente alla pressione e uno scafandro collegato a un serbatoio subacqueo dal quale giungeva l' mezzo di un tubo, ma fu solo agli sgoccioli del XIX secolo che si ebbe il aria per loro vero e proprio ingresso in scena, con il perfezionamento di quest'invenzione ad opera del tedesco Kleingert, che collegò lo scafandro direttamente alla superficie. Fu così che ebbe inizio l'attività di recupero dei primi reperti archeologici come i relitti di Anticitera (Grecia 1900-01) e di Mahdia (Tunisia 1908-13), e le sensazionali scoperte dell'Efebo di Maratona nel 1925, del Poseidon e del Fanciullo fantino dell'Artemisio nel 1928.L'ingresso in scena dell'autorespiratore subacqueo, sperimentato nel 1943 da Jacquesb Yves Cousteau ed Emile Gagnan, offrì all'archeologia uno strumento adatto alle sue necessità e la contemporanea e larghissima diffusione dell'immersione subacquea, con i sensazionali risultati raggiunti in breve tempo, fecero crollare l'iniziale disinteresse che si ebbe nei confronti di questo nuovo campo di ricerca88.A rendere indispensabile l'intervento diretto dell'archeologo nei cantieri sommersi fu Antonino Lamboglia, considerato il padre dell'archeologia subacquea italiana ed europea, che nel 1950 diresse lo scavo sul relitto di Albenga – nave oneraria romana del I secolo a.C. tra le più famose in Italia – ilprimo a essere fondato puramente su criteri archeologici terrestri, svolto con la collaborazione dei famosi palombari dell'Artiglio, nave della società genovese a SO.RI.MA. A lui si deve anche il primo impiego del metodo della quadrettatura e dello scavo stratigrafico con l'utilizzo della sorbona in ambito subacqueo,rispettivamente nel 1958 sul relitto tardo-repubblicano di Spargi in Sardegna settentrionale, e nel 1959 a Baia. Il primo a coniare il termine "Archeologia Subacquea" fu George F. Bass che, nel 1952, si distaccò nettamente dalla definizione di "Archeologia sottomarina", troppo esclusiva, in quanto limitata alle ricerche in acque salate, escludendo quelle dolci di fiumi e laghi dove, invece, vengono celate numerose espressioni di culture antiche, talvolta straordinarie al punto delle Navi di Nemi, recuperate nel 1932 tramite il prosciugamento dell'omonimo lago dall'Ing. Guido Uccelli,grazie soprattutto alla spinta del regime fascista. Su queste stesse navi nel 1535 il bolognese Francesco De Marchi e nel 1827 Fusconi, con l'ausilio di una campana, tentarono, con scarsi risultati, un'indagine "batiscopica". Solo Eliseo Borghi nel 1895, riuscì per primo a recuperare alcuni componenti dei relitti che, senza leggi di tutela, confluirono nel mercato antiquario. Durante il Primo Congresso di Archeologia Sottomarina, tenutosi nel 1955 a Cannes, avvenne il riconoscimento dell'autonomia di questo campo, ottenuto grazie all'utilizzo di tecniche particolari sviluppatesi indipendentemente dagli ambienti archeologici ufficiali che l'hanno reso un ramo nuovo e autonomo dell'archeologia. A George F. Bass dobbiamo due importanti scavi per la storia dell'archeologia subacquea che hanno avuto luogo entrambi in Turchia, quello eseguito nel 1960 dai ricercatori dell'Università di Pennsylvania sul relitto di Capo Chelidonia delXIII secolo a.C., e quello svolto tra il 1961 e il 1964 sul relitto di Yassi Ada,durante il quale fu utilizzata per la prima volta la tecnica della fotogrammetria.93La continua crescita dell'interesse mondiale legato alla ricerca, il rapido sviluppo delle tecniche d'immersione e la conseguente individuazione di numerosi relitti, ha fatto si che nascessero diversi istituti e fondazioni con il compito di sviluppare e perfezionare le tecniche d'indagine, recupero e conservazione dei reperti giacenti in ambienti subacquei. Il lungo cammino verso questa nuova archeologia, i cui dettami sono sanciti nella convenzione UNESCO, ha portato allo sviluppo di nuove tecnologie, che oggi ci consentono di acquisire le conoscenze necessarie alla gestione delle risorse culturali sommerse, secondo il principio che tende a non prelevare nulla dai fondali, lasciando in tal modo i contesti archeologici integri.

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Indagini Archeologiche Strumentali nelle Acque di Marettimo

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Informazioni tesi

  Autore: Antonino Venza
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Conservazione dei Beni Culturali
  Corso: Tecnologie per la conservazione e il restauro dei beni culturali
  Relatore: Sebastiano Tusa
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 139

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