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Il ruolo dei fondi flessibili nell’ambito dell’Asset Allocation: componente core o solo satellite?

Le logiche alla base della valutazione dei fondi

Dopo aver mostrato i principali indicatori, l’elaborato sposta l’attenzione sulle determinanti delle performance ovvero i diversi tre drivers che portano alla creazione di valore sui portafogli in gestito. Essi sono:

1. Il rischio assunto: determinabile attraverso le misure di Risk Adjusted Performance i cui principali indicatori utilizzati sono lo Sharpe Ratio, Sortino Ratio e l’Information Ratio;
2. L’abilità dell’Asset Manager: determinabile attraverso gli indicatori di skills dei fund managers. Si cerca primariamente di spiegare l’andamento e la performance dei fondi/portafogli imputandoli solo alla dinamica del mercato, poi si stimano i valori dell’Alfa di Jensen per catturare l’abilità di selezione del gestore utilizzando una regressione lineare condotta partendo dai rendimenti storici differenziali rispetto a quelli dei free risk storici e quelli registrati sul mercato.[…]

Dove il rendimento del fondo/portafoglio in eccesso al free risk viene spiegato dal premio al rischio del mercato (dunque il rischio sistematico) e da quello incrementale in α di Jensen.

La capacità dei fund managers può essere interpretata anche in termini di market timing, ovvero la possibilità di generare extra performance non solo attraverso la selezione dei prodotti ma pure in funzione della capacità di valutare correttamente i movimenti direzionali del mercato. Se il gestore è in grado di fare market timing allora si presuppone che abbia l’abilità di variare la sensibilità del fondo/portafoglio in funzione dell’andamento ipotizzato di mercato.
Per valutare il market timing si ricorre al beta bull e al beta bear, indicatori nominati già precedentemente: il primo mostra se il gestore è in grado di anticipare le fasi rialziste del mercato, il secondo di anticipare le fasi ribassiste.

Dal modello appena riportato se ne ricava uno più articolato ovvero quello di Treynor e Mazuy del 1966. L’assioma che sta alla base della nuova formulazione è così espresso: benché la maggior parte dei titoli/fondi tende a muoversi insieme verso l’alto e verso il basso, esistono alcuni strumenti più volatili di altri. Nel momento in cui i managers cercano di anticipare il mercato variano le composizioni all’interno del portafoglio. Facendo ciò, tuttavia, vi è un impatto diretto sulla volatilità del portafoglio stesso. Infatti, se i gestori presumono che il mercato stia per crollare spostano la composizione da stocks più volatili a stocks meno volatili.
Diversamente, se immaginano che il mercato crescerà, muoveranno le masse di portafoglio verso assets più rischiosi. Treynor e Mazuy suggeriscono quindi la stima di una relazione che inserisce nel modello lineare di Jensen la componente quadratica a partire dagli stessi input riportati in precedenza.

Tale componente all’interno della formula è associata al coefficiente γ che, se assume valore superiore a 0, mostra che le strategie di investimento attuate del fund manager sono premianti. Di conseguenza, che il gestore ha capacità in termini di market timing.

3. La fortuna: condurre un’analisi di persistenza dei risultati raggiunti ovvero verificare la sistematicità dell’ordinamento competitivo del fondo o più in generale della casa di gestione su tutto l’insieme per escludere la pura casualità o fatti esterni che inficiano alla valutazione.

Gli indicatori non possono essere utilizzati indistintamente per tutti i mercati, o meglio, una selezione condotta tramite l’utilizzo degli stessi criteri, sottende l’ipotesi che tutte le tipologie di prodotti abbiano le medesime caratteristiche. Pertanto, per quanto utilizzare un unico criterio possa risultare un’analisi immediata, quest’ultima risulterebbe inutile ai fini di una corretta stima della bontà dei vari strumenti.

È opportuno quindi, inizialmente definire il perimetro o il tipo di mercato che si vuole analizzare e in funzione di quest’ultimo applicare degli indicatori più idonei.
Per quanto riguarda i prodotti possiamo distinguerli in 4 macro-categorie:

o Prodotti Monetari
La natura dello strumento, nato per essere facilmente liquidabile e non per percepire flussi importanti di reddito, trova coerenza con indicatori che utilizzino ad esempio il costo. Infatti, è opportuno che nella valutazione di questa tipologia di strumenti si considerino le spese ricorrenti e l’eventuale effetto tasso (se il prodotto è in valuta diversa dall’euro). Potrebbe essere utilizzato anche l’indicatore di Risk adjusted performance Sharpe, tale per cui è possibile evidenziare, ove possibile, i prodotti che hanno perlomeno ripagato il free risk assumendosi delle posizioni leggermente più rischiose.

o Prodotti Obbligazionari
Il comparto obbligazionario esprime chiaramente un Benchmark che deve essere battuto. Allora gli indicatori più adatti per la valutazione di questo comparto sono probabilmente lo Sharpe Ratio a 3 anni combinato con l’indicatore Benchmark related Information Ratio sempre a 3 anni. La scelta di mixare i criteri permette di identificare se i fondi che hanno fatto peggio del loro indice, sono stati perlomeno in grado di far meglio del free risk.

o Prodotti Azionari
La natura di questo segmento porta ad utilizzare l’Information Ratio o il Selection Ratio come criterio fondamentale per l’analisi.
SI noti che gli indicatori di rischio - rendimento assumono un significato totalmente diverso quando vengono messi a confronto o con un parametro opportunamente scelto (e non necessariamente uguale a quello dichiarato nel prospetto informativo) o con un fondo concorrente.

o Prodotti Flessibili e Total Return
L’indicatore coerente con la valutazione di una strategia di investimento di tipo flessibile presenta molti aspetti complessi. Il primo problema fra tutti è quello di identificare le classi ritenute omogenee di prodotti flessibili o performance assoluta. Il secondo, quale parte, ovvero quali asset class, possono essere considerate robuste per avere aspettative sul comportamento futuro tenuto dai fondi.
Da ultimo, il grado di discrezionalità con cui il fund manager può compiere le operazioni sul fondo, in altri termini, se il gestore ha piena libertà sulle proprie scelte. Meno sono definiti questi fattori meno prevedibili sono le aspettative di rendimento, la volatilità attesa e le future correlazioni su queste asset class.
Perciò gli indicatori benchmark related non possono essere usati e trovare effetto su tale comparto. Bisogna ricorrere a misure diverse quali: Costo, Calmar Ratio, Sharpe e Sortino, Omega Ratio o VAR (Value at Risk).
Quest’ultimo menzionato e non spiegato precedentemente è un indicatore di rischio che rappresenta una misura di massimo scostamento del rendimento stimato tra il valore del fondo e quello del suo Benchmark dopo aver espresso un livello di confidenza e l’orizzonte temporale. Si traduce nel concreto nella valutazione della perdita massima potenziale attesa con un certo livello di probabilità su un arco temporale circoscritto.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il ruolo dei fondi flessibili nell’ambito dell’Asset Allocation: componente core o solo satellite?

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Informazioni tesi

  Autore: Davide Ruspini
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2018-19
  Università: Università degli Studi di Verona
  Facoltà: Scuola di Economia e Management
  Corso: Banca e Finanza
  Relatore: Emanuele Maria Carluccio
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 253

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