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La «legge ponte»


L'1 settembre 1967 viene emanata la legge 6 agosto 1967 n. 765, recante modifiche e integrazioni della legge urbanistica del 1942. Viene subito definita legge ponte. Era solo un rimedio temporaneo. Essa cerca di portare un po' di ordine nell'attività edilizia e urbanistica. La legge limita le possibilità di edificazione nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici e cerca quindi di incentivare la formazione dei piani. Per i comuni inadempienti è previsto l'intervento sostitutivo dello stato e più rigide sanzioni sono previste anche per punire le illegittimità e gli abusi edilizi. La legge stabilisce anche che sono proibite le lottizzazioni nei comuni sprovvisti di piano regolatore.

È interessante il meccanismo deterrente sanzionatorio per l'attuazione delle norme, che cosa c'è di strano?
C'è una contraddizione di fondo: la soluzione è una restrizione ai privati mentre il prg è comunale pubblico. L'anomalia è che l'interesse pubblico viene a coincidere con l'interesse privato, che prevarica quello pubblico. La sanzione va a colpire i privati e quindi da già per scontato che l'interesse di intraprendere imprese edilizie sia solo privato e non pubblico.

L'innovazione fondamentale riguarda i cosiddetti standard urbanistici, cioè le quantità minime di spazio che ogni piano deve assolutamente riservare all'uso pubblico, e le distanze minime da osservare nell'edificazione ai lati delle strade. Così finalmente, con un ritardo di decenni su altri paesi europei, il decreto 1444 ministeriale dell'aprile 1968 stabilisce che ogni cittadino ha diritto ad un minimo di 18 mq di spazio pubblico, così ripartiti:
4.5 mq per scuole primarie e secondarie,
9 mq per verde pubblico e attrezzato,
2.5 mq per parcheggi pubblici e
2 mq per spazi e attrezzature di interesse comune.

La questione degli standard non riguarda la realtà ma solo le previsioni di un piano che forse saranno attuate.
Perché è necessario inserire nel piano la tabellina degli standard?
Perché i mq minimi devono essere stabiliti  a priori, il grosso problema è che il PRG si facevano sottodimensionati, come se fossero dei piani di lottizzazione e quindi si assegnava a suolo pubblico, la parte più scarsa del territorio, pensando solo agli interessi privati. Per questo servivano degli standard.
Nella maggior parte dei casi però, gli standard erano adottati non come valori minimi ma come massimi e quindi erano ridotti e non raggiungevano i 18 mq richiesti.

Per assegnare mq bisognava prima fare un rilievo di ciò che era già esistente, e qui sta la grande ambiguità: esempio del verde pubblico. È analizzato il verde pubblico già esistente: parchi, giardini, siepi spartitraffico XD, viali alberati XD, i monti nella loro interezza (monte pellegrino) → trucchetti per aumentare il verde pubblico e prevederne meno in futuro grande imbroglio. Lo stesso ragionamento è fatto per i parcheggi e per le scuole.
Si pensi che in alcuni casi, quando mancano i mq richiesti dagli standard, ci si spinge verso il verde privato che in qualche modo “collabora ad assolvere alcune funzioni ecologiche” → le regole sugli standard diventano un piccolo calcolo matematico inutile.

Il dibattito pone un'altra questione: lo standard è solo un prerequisito per una città di qualità e non la rende tale. La legge sugli standard affronta il tema della quantità e di conseguenza quello della giustizia distributiva. Il decreto 1444 inoltre codifica le zone con delle lettere.

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