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L'Italia dal dopoguerra alla vertenza per la riforma urbanistica


Gli anni del dibattito sulla riforma urbanistica

I piani del dopoguerra in Italia non trovarono riscontro e, nella maggior parte dei casi, non vengono attuati. Gli anni '50 sono gli anni d'oro della speculazione più sfrenata: gli anni delle “mani sulla città”.
A Napoli, l'amministrazione Lauro dà l'avvio al massacro della città. A Roma, a Milano, a Genova, a Catania, detta legge la Società generale immobiliare. Antonio Cederna scrive degli scempi avvenuti. Il disinteresse dell'opinione pubblica per le sorti delle città, è intanto alimentato dall'impostazione privatistica e individualistica che si dà agli interventi pubblici in materia di edilizia economica e popolare. Come affermavano allora i governanti, si doveva sostenere la proprietà privata a spese del denaro pubblico: occorre dare a riscatto agli assegnatari, le case costruite dallo stato.
Con questo obiettivo, il Parlamento approva una legge-delega, che demanda al governo la formulazione di norme per la cessione in proprietà a favore degli assegnatari degli alloggi di tipo popolare ed economico costruiti o da costruire a totale carico dello stato, ovvero con il suo concorso o contributo; di tutte le abitazioni, cioè, di proprietà pubblica.
Nel 1955, ad opera di un piccolo gruppo di intellettuali mobilitati contro l'ennesimo tentativo di sventramento nel centro storico di Roma, nasce l'associazione Italia Nostra, tra i quali esponenti c'è Antonio Cederna. Oggi Italia Nostra è presente in tutto il territorio con 200 sedi.

Si apre il dibattito sulla riforma urbanistica: il «Codice di urbanistica» dell'Inu
All'inizio degli anni '60 lo sviluppo industriale del paese si consolida. Viene alla luce la contraddizione fra il settore dell' edilizia speculativa e quelli industriali più avanzati, che avvertono l'esigenza di un più razionale uso del territorio. A partire dal 1960, si assiste, specialmente al Nord, alla fioritura di innumerevoli iniziative di pianificazione, ed è databile al 1960 l'apertura della battaglia per la riforma urbanistica. È l'Inu a rompere il ghiaccio, viene presentata una proposta di riforma: è il cosiddetto Codice dell'Urbanistica. L'Inu tenta di integrare la pianificazione urbanistica con la programmazione economica, attraverso l'istituzione di un comitato nazionale di pianificazione e di un consiglio tecnico centrale.
Di riforma urbanistica si comincia a parlare concretamente anche in sede ministeriale. Il ministro dei lavori pubblici insedia una commissione per la riforma urbanistica. Membri della commissione sono: Giovanni Astengo, Luigi Piccinato e Giuseppe Samonà. La proposta è resa pubblica nel 1961 e resta sostanzialmente nel solco dei principi ispiratori della legge del '42. Però anche in questa proposta non è risolto il problema dell'acquisizione.

Qual è il motivo alla base dell'insuccesso dei piani?
Che le regole e le norme erano troppo rigide e non favorivano lo speculato, soprattutto quelli edilizi, che volevano solo fare gli interessa privati senza curarsi di quelli pubblici.
Come si può fare a risolvere all'inizio il problema? Come si fa a fare il “bravo speculatore”?
Adattando le leggi “legalmente” ai propri interessi, facendo sì che il piano tenga conto sei suddetti interessi. La speculazione nasce dall'acquisire terreni a poco prezzo che in seguito all'istituzione di regolamenti edilizi, diventano edificabili e di conseguenza aumentano di valore. Uno dei temi più sfruttati dalla speculazione ad es. è quello dei centri commerciali (vedi forum).

La proposta del ministro Sullo
Autore della proposta che risolve alla radice il problema della rendita fondiaria urbana è Fiorentino Sullo, ministro democratico dei lavori pubblici dal 1962. Preso atto che la stragrande maggioranza degli urbanisti non si dichiarava d'accordo con lo schema elaborato dalla commissione insediata (Samonà ecc.), ricostruisce la stessa commissione, integrandola con giuristi, economisti e sociologi. Il disegno di legge Sullo è pronto nel giugno del 1962.
La pianificazione si articola con gli stessi dispositivi previsti dalla commissione: piano regolatore, piano comprensoriale, piano regolatore comunale e piano particolareggiato.
Il piano regolatore generale e quello comprensoriale sono obbligatoriamente attuati per mezzo dei piani particolareggiati, le cui prescrizioni hanno valore a tempo indeterminato e nel cui ambito il comune promuove l'espropriazione di tutte le aree in edificate e delle aree già utilizzate per costruzioni e se l'utilizzazione in atto sia sensibilmente difforme rispetto a quella prevista dal piano particolareggiato, nonché delle aree che successivamente all'approvazione del PPE (piano particolareggiato) vengano a rendersi edificabili per qualsiasi causa.
Acquisite le aree e il comune provvede alle opere di urbanizzazione primaria e cede, con il mezzo dell'asta pubblica, il diritto di superficie sulle aree destinate a edilizia residenziale, che restano di proprietà del comune. A base d'asta viene assunto un prezzo pari all'indennità di esproprio maggiorata del costo delle opere di urbanizzazione e di una quota per le spese generali.
Nel caso in cui le aree siano adibite a utilizzazioni industriali, la cessione avviene a trattativa provata. L'indennità di espropriazione è determinata, per i terreni non edificati e non aventi destinazione urbana prima dell'approvazione del piano, in base al prezzo agricolo; per i terreni non edificati, ad aventi già destinazione urbana, in base al prezzo dei più vicini terreni di nuova urbanizzazione; e infine, per i terreni edificati, in base al valore di mercato della costruzione.
In sintesi di proprietà privata resta solo una parte delle aree edificate, le altre aree passano gradualmente in proprietà dei comuni, che cedono ai privati il diritto di superficie per le utilizzazioni previste dai piani.
Il 14 luglio del 1962, la presidenza del Consiglio dei ministri, comunica di condividere in linea di massima i criteri informatori della nuova disciplina urbanistica.
Successivamente però, il Consiglio dei ministri, rinvia l'esame del provvedimento. Ci si avvicina alla scadenza della legislatura e alle elezioni politiche del 1963.

La sconfitta del 1963
E, infatti, nell'aprile del 1963 che si scatena lo “scandalo urbanistico”: una furibonda campagna di stampa contro il ministro Sullo accusato di voler togliere la casa agli italiani → Finisce male. Mentre la proposta di legge cadeva insieme al suo governo, in tutta Italia vengono rilasciate una valanga di licenze edilizie.

Tale proposta prevedeva che i comuni, all'atto della redazione dello strumento urbanistico, espropriassero tutti i suoli che nel piano sarebbero stati suscettibili a modificazioni future. Questo procedimento era attuato calcolando gli indennizzi (il valore) al momento dell'esproprio, ma non quelli futuri. I terreni venivano di conseguenza venduti a prezzi maggiori.
Era ceduto solo il diritto di edificazione e non la proprietà del suolo che rimaneva comunale. Tutt'oggi ciò avviene con le concessioni fatte ai privati per quanto riguarda i suoli demaniali (es. bar sulla spiaggia a Mondello che sono solo temporanei). Il proprietario possiede le attrezzature che costruisce, ma non il suolo. Ad esempio il litorale non è di proprietà privata ma è un bene demaniale, in altre parole statale.

Bisogna tener conto della variabile temporale:
Al presente nella città X: c'è un centro storico A, parti non ancora urbanizzate B delle parti di espansione ottocentesca e suolo agricolo.
Con la legge Sullo: Il centro storico A rimaneva tale, le zone non ancora urbanizzate C erano completate con magari altrettante zone C satelliti nel verde agricolo.
Procedimento:
Una volta fatto il nuovo PRG, l'amministrazione espropria SOLO le aree che dal presente al futuro avranno un mutamento di destinazione d'uso (quindi non tutti i terreni agricoli ma solo quelli di futura modificazione). In questo caso le zone B e C rimanenti.
Gli indennizzi sono calcolati al presente e non in base al valore futuro. Ad es. l'esproprio delle zone C sarà fatto come zone agricole, in futuro invece saranno vendute al prezzo di terreni edificabili.
Si rivende ai privati con asta pubblica.
Quali erano i vantaggi di quest'ipotesi per quanto riguarda l'edilizia pubblica?
Che i quartieri pubblici, che di solito sono costruiti in estrema periferia a causa del basso costo dei terreni, in questo caso invece erano posti più vicini al centro.
Qual è il vantaggio per i privati?
Che se costruiscono più vicino al centro non devono fare tutte quelle opere primarie (strade, fognature ecc...) che sarebbero necessarie se fossero più isolati.
A Palermo la localizzazione dei quartieri di edilizia residenziale pubblica sono in estrema periferia e ciò è avvenuto con le pressioni dei proprietari, così che essi potessero avere territori con maggior valore.

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