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La fattispecie del delitto tentato: l'idoneità degli atti

La fattispecie del delitto tentato: l'idoneità degli atti

a). L'idoneità degli atti
La fattispecie obiettiva dei tentativo è costituita da due elementi: l'idoneità degli atti e la loro direzione non equivoca a commettere un delitto.
Idoneità ed univocità sono connotati della condotta di tentativo che possono essere accertati solo in relazione allo specifico delitto come ideato e perseguito dall’agente.
Affinché il giudice possa verificare i requisiti obiettivi del tentativo, deve previamente conoscere il delitto perseguito dall’agente, delitto che però per definizione non è venuto ad obiettiva realizzazione, esistendo solo “nella testa dell’agente => il delitto perseguito sarà individuabile solo attraverso l’accertamento del dolo del soggetto, del suo proposito criminoso, con la conseguenza che eccezionalmente l’accertamento dell’elemento soggettivo dovrà precedere quello dell’elemento oggettivo.

L'idoneità degli atti connota il tentativo in termini di pericolo reale per il bene giuridico protetto.  
Si tratta di un giudizio che pone tre ordini di problemi: a) il momento cui essa si riferisce; b) l'oggetto al quale si riferisce; c) il parametro con cui si esprime.

Momento cui si riferisce l'idoneità:

Si colloca ex ante, si riporta cioè al tempo in cui il soggetto ha compiuto l'ultimo atto della sua condotta (c.d. prognosi postuma).
Infatti, se si valutasse la situazione ex post, badando all'intero sviluppo della vicenda criminosa, si dovrebbe sempre e comunque riconoscere che gli atti erano inidonei: altrimenti, essi avrebbero raggiunto l'obiettivo che il soggetto si proponeva (così, ad es., Tizio spara a Caio ferendolo mortalmente; Caio si salva per l'intervento di un chirurgo particolarmente abile e fortunato; qualcosa è dunque mancato per rendere la condotta di Tizio idonea a provocare la morte: lo attesta il fatto stesso che Caio sia sopravvissuto).

Oggetto dell’idoneità:

L'idoneità assume a proprio oggetto di valutazione gli atti in concreto, considerati nel contesto della situazione cui ineriscono. E’ questo il senso della modifica normativa introdotta nell'art. 56.1 rispetto alla formula “mezzi idonei” utilizzata precedentemente nell'art. 61.1.  
I «mezzi» possono infatti essere idonei in astratto, e non in concreto, o viceversa (es. un colpo di fucile è mezzo astrattamente idoneo ad uccidere, ma può non esserlo in concreto, se la vittima si trova fuori della portata dell'arma; la somministrazione di bevande zuccherine è mezzo astrattamente inidoneo a provocare la morte, ma può risultare idonea se riferita ad un diabetico alle soglie del coma).
L'atto può invece essere idoneo solo in concreto, proprio perché esso è costituito da uno specifico comportamento, storicamente ed empiricamente definito, del soggetto agente (ad es.: lo sparo è atto intrinsecamente caratterizzato dalla mira, dalla posizione, dalla distanza, dalla carica, dalla portata dell'arma, etc.).E questo tipo di valutazione corrisponde peraltro all'esigenza di fondare il tentativo su un pericolo reale (e non meramente ipotetico, o virtuale).
D'altro canto, la valutazione in concreto deve conciliarsi con il postulato della prognosi postuma (sub a): tenendo conto di tutte le peculiarità della situazione si rischia infatti di dover quasi sempre concludere che l'atto era inidoneo (es. Tizio ha mirato al cuore ma la mano non era ferma, ed il colpo ha raggiunto una zona non vitale; oppure: al momento dello sparo la vittima si è improvvisamente chinata).
Valutazione dell'idoneità
A questo proposito è necessario precisare che la valutazione di idoneità si effettua ex ante non soltanto in senso «cronologico» (riportandosi al momento in cui il soggetto ha agito) ma anche in senso «logico» (ponendosi nella stessa prospettiva dell'agente: giudizio a parte subiecti).
Pertanto, considerando la natura del fattore paralizzante (e cioè dell'elemento che ha bloccato lo sviluppo della vicenda criminosa), si può senz'altro dire che resta estraneo al giudizio di idoneità non soltanto il «fattore paralizzante» successivo alla commissione degli atti (come nell'es. della cura tempestiva ed efficace della vittima), proprio perché si tratta di una prognosi postuma, ma anche il «fattore paralizzante» concomitante che non fosse obiettivamente riconoscibile nella posizione dell'agente, in questo caso perché l'emergere del fattore è, rispetto alla posizione dell'agente, logicamente successivo al compimento dell'atto.  
Così, ad es., se Tizio si accinge a commettere una rapina là dove la polizia, preavvertita, ha disposto adeguate contromisure, il giudizio di idoneità prescinde da questa particolare situazione; ed analogamente, se il ladruncolo dei mercato infila la mano nella borsa dove la vecchietta prudente non custodisce il portafogli, la mancanza dell'oggetto materiale non incide sulla valutazione di idoneità; o se il killer spara ad una vittima che, consapevole di trovarsi in pericolo, si sia dotata di un busto corazzato o stia viaggiando su una vettura blindata (ma se gli apprestamenti protettivi risultano evidenti, la conclusione si capovolge, perché costituiscono fattori inseriti nella prospettiva dell'agente).
Questo approccio subisce un'unica eccezione per l'ipotesi, espressamente prevista dall'art. 49.2, che l'oggetto materiale della condotta sia del tutto inesistente: in questo caso, nonostante gli atti possano risultare idonei secondo una valutazione ex ante svolta a parte subiecti, il reato è impossibile (e quindi il tentativo appare inidoneo).  
Deve tuttavia trattarsi di un'inesistenza assoluta, e non occasionale né contingente, come nell'es. di chi spari ad un uomo già morto per cause naturali o di chi esegua un furto per impossessarsi di un prezioso dipinto in realtà distrutto da un incendio; se l'uomo non si trovasse in quel momento nel luogo dove avrebbe dovuto trovarsi o il dipinto fosse stato trasferito in un'altra città, si dovrebbe parlare di mancanza occasionale dell'oggetto, irrilevante ai fini dell'idoneità degli atti.
La ragione di questa eccezione poggia sul fondamento obiettivo che il delitto tentato assume nel nostro sistema penale: quando l'oggetto materiale è inesistente in rerum natura non può mai, ed a nessun patto, prospettarsi il pericolo di un'offesa al bene protetto; la punibilità dell'agente finirebbe allora col basarsi solo sulla volontà criminosa manifestata.
Il parametro:
Il parametro con cui il giudizio di idoneità si svolge è, in generale, inteso come rilevante possibilità del danno.
In quanto fondato sul «pericolo» per l'interesse protetto, il tentativo postula l'esigenza che gli atti rechino in sé un'attitudine significativa a determinare l'offesa. D'altro canto, il criterio specifico di stima della «rilevante possibilità» non può prescindere dal rapporto fra gli atti ed il delitto cui si riferiscono. Se si tratta di un reato d'evento e la condotta è interamente compiuta (c.d. delitto mancato), come nell'es. di Tizio che ferisce mortalmente Caio, il quale viene poi salvato, il canone valutativo dell‘idoneità consiste nell’adeguatezza causale della condotta a determinare l’evento secondo un criterio probabilistico.
Se si tratta invece di atti che implicano uno sviluppo della condotta dell'agente (c.d. delitto tentato in senso stretto), come nell'es. di chi viene bloccato mentre sta prendendo la mira o di chi si sta introducendo in casa altrui per scassinare una cassaforte, o di chi sta studiando le abitudini della vittima, o approntando i mezzi per delinquere, l'idoneità si esprime in termini di adeguatezza alla prosecuzione dell'iter criminis sino alla commissione del delitto.

Tratto da DIRITTO PENALE di Beatrice Cruccolini
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