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L'efficacia dell'ordinanza di convalida

L'efficacia dell'ordinanza di convalida

E' un provv. a cogniz. sommaria poichè si prescinde completamente dalla valutazione circa la fondatezza o meno della pretesa dell'attore, si guarda solo al comportam del convenuto.
L’ordinanza di convalida costituisce un provv. di condanna al rilascio (definendo un procedimento di cognizione, sia pur speciale, deve pronunciare sulle spese) dotato di immediata efficacia esecutiva . L’efficacia esecutiva verrà in essere solo dopo 30 giorni dalla data di apposizione della formula nel caso in cui l’intimato non sia comparso.
(Secondo alcune isolate opinioni il giudice non farebbe altro che prendere atto di un accordo di natura negoziale, tra intimante e intimato; in realtà non si tratta di accordo ma semplicemente di acquiescenza da parte dell’intimato, acquiescenza in grado di offrire al giudice elementi sufficienti per effettuare una cognizione sommaria e pronunciare una condanna con immediata efficacia esecutiva.)
L’ordinanza di convalida essendo un provv. definitivo è dotata (come il decreto ingiuntivo non opposto) di autentica efficacia di cosa giudicata. Tale conclusione si desume da alcune disposizioni, tra le quali primeggia l’art.668, secondo cui contro l’ordinanza in discorso l’intimato può proporre opposizione (= opposizione tardiva) innanzi al tribunale che ha pronunciato l’ordinanza stessa, in quanto egli provi di non aver avuto conoscenza dell’intimazione per:
1    irregolarità della notificazione
2    caso fortuito
3    forza maggiore
sempre in quanto non siano decorsi 10 giorni dall’inizio dell’esecuzione.
Ciò significa che non sussistendo le suddette circostanze eccezionali non è possibile proporre l’opposizione; poiché la legge non contempla alcun altro mezzo di impugnazione contro questa ordinanza, salve solo le impugnazioni straordinarie rese ora ammissibili dalla Corte costituzionale, ne deriva la sua definitività e idoneità al giudicato.
Detto ciò sorge il problema riguardo ai casi in cui l’ordinanza sia stata pronunciata al di fuori dei presupposti della legge processuale o eventualmente anche sostanziale; secondo la Cassazione la pronuncia al di fuori di tali presupposti, e quindi con una forma diversa da quella con la quale il provv. avrebbe dovuto essere pronunciato, fonda l’applicazione della regola c.d. della prevalenza della sostanza (che qui sarebbe di sentenza) sulla forma con la conseguente impugnabilità del provv. con l’appello. (tesi Mandrioli: impugnabilità col ricorso straordinario per Cassazione ex art.111Cost.).
In dottrina sussistono contrasti circa l’ammissibilità del regolamento di competenza avverso l’ordinanza di convalida; mentre, riguardo l’ammissibilità dell’opposizione di terzo, prima che la Corte costituzionale con la sent.n.167/1984 aprisse la via a questa impugnazione, dottrina e giurisprudenza erano orientate nel senso della sua inammissibilità. La Corte costituzionale con sent.n.558/1989 ha aperto la via anche alla revocazione ex art.395 n.4 c.p.c.
Nell’ipotesi di sfratto per morosità il locatore può chiedere la condanna, con decreto ingiuntivo, al pagamento dei canoni scaduti e da scadere fino all’esecuzione dello sfratto, senza limiti di competenza. In tal caso il giudice pronuncia un decreto ingiuntivo che costituisce provv. autonomo da stendersi in calce ad un’altra copia dell’intimazione da conservarsi in cancelleria. Il decreto è immediatamente esecutivo, ma suscettibile di opposizione nel consueto termine di 40 giorni (naturalmente l’opposizione non toglie efficacia all’avvenuta risoluzione del contratto). Cmq la richiesta del decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni costituisce per l’intimante una semplice facoltà. Un vero e proprio onere per l’intimante è invece previsto dalla legge (art.663c3) sempre con riguardo all’intimazione di sfratto per morosità: si tratta dell’attestazione in giudizio che la morosità persiste; poiché la legge fa dipendere da tale attestazione la pronuncia dell’ordinanza di convalida, fino a quel momento si ritiene che l’intimato possa utilmente sanare la morosità.


Tratto da DIRITTO PROCESSUALE CIVILE di Federica D'ortenzio
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