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Il consulente tecnico di parte nel processo penale


Le parti possono nominare un consulente tecnico di parte in tre situazioni: in relazione ad una perizia già disposta, al di fuori della perizia e per contrastare il risultato di una perizia già svolta.
Ogni parte può nominare un consulente tecnico fuori perizia, anche l’indagato e la persona offesa durante le indagini preliminari (quando sono parti solo “potenziali”).
soggetti possono nominare consulenti tecnici in numero non superiore a due.
L’oggetto della consulenza tecnica di parte è identico a quello della perizia: cioè deve essere disposta dal giudice quando occorre compiere una valutazione per la quale sono necessarie specifiche competenze.
Il perito svolge le indagini ed acquisisce risultati probatori per conto del giudice e gli esiti sono destinati a confluire direttamente nel fascicolo del dibattimento e sono utilizzabili nella decisione finale.
Il consulente di parte propone valutazioni tecniche, che si traducono in pareri espressi oralmente o in memorie scritte.
Identico è lo strumento con il quale perito e consulente tecnico sono sentiti in dibattimento: l’esame incrociato.
A differenza del perito, che assume l’obbligo penalmente sanzionato di far conoscere la verità, nessun obbligo del genere è previsto dal codice per il consulente di parte.
La possibilità di consulenza tecnica fuori dei casi di perizia comporta che i consulenti delle parti possono svolgere le proprie attività anche quando il giudice non ha disposto la perizia.
Il consulente nominato da una parte privata può svolgere investigazioni difensive per ricercare ed individuare elementi di prova.
Di regola gli elementi di prova così raccolti possono essere presentati, o meno, dalla parte privata in dibattimento.
Occorre chiedersi cosa accada quando il giudice si trovi a dover risolvere un contrasto tra pareri di esperti, cioè quando gli si richieda una valutazione della prova che comporta conoscenze specialistiche.
Nel casi in cui i pareri contrastanti appartengano a consulenti di parte, il giudice può ritenere utile disporre una perizia, ma ciò non è sufficiente, giacché poi su di lui grava il compito di motivare il proprio convincimento.
Ovviamente non si può imporre al giudice di adottare una motivazione tecnica, in quanto ciò eliminerebbe il vantaggio dell’istituto della perizia.
Si ritiene dunque sufficiente che il giudice dimostri di aver preso in considerazione le diverse ricostruzioni tecniche e di averle, poi, scartate sulla base di motivi oggettivi.
In tale ottica emerge l’assoluta centralità dell’esame incrociato degli esperti, poiché è grazie a tale strumento che le parti riescono a convincere il giudice.
Qualora più teorie contrapposte appaiano ugualmente probanti, egli dovrà applicare la regole del ragionevole dubbio.

Tratto da DIRITTO PROCESSUALE PENALE di Stefano Civitelli
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