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Il diritto alla prova nel processo penale


E’ un’espressione di sintesi che comprende il diritto di tutte le parti di ricercare le fonti di prova, di chiedere l’ammissione del relativo mezzo, di partecipare alla sua assunzione e di presentare una valutazione al momento delle conclusioni.
Quindi il diritto alla prova implica:
Il diritto delle parti di ricercare le prove, per esigenze dovute al funzionamento del sistema accusatorio.
Il diritto di indagare è concesso alle parti in tutto il corso del procedimento.
Il diritto ad ottenere l’ammissione dei mezzi di prova richiesti nei limiti previsti dall’art. 190 c.p.p.
Alle parti è sufficiente dimostrare la probabile rilevanza; nel dubbio la richiesta deve essere accolta.
Ciò significa che il quantum di prova imposto alla parte richiedente è particolarmente basso.
Il giudice è vincolato anche a provvedere senza ritardo con ordinanza.
Le parti hanno il diritto di affrontare l’istruzione dibattimentale avendo ben chiaro il quadro probatorio di cui possono disporre.
Il codice prevede espressamente il diritto alla prova contraria: ove siano stati ammessi i mezzi di prova richiesti dall’accusa, l’imputato ha diritto all’ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico.
Il codice prevede che la prova contraria sia sempre pertinente, fermo restando, ovviamente, il vaglio sulla rilevanza da parte del giudice.
Il diritto ad ottenere l’ammissione della prova incontra limitazioni in casi come i delitti di associazione mafiosa, violenza sessuale e pedofilia.
In queste situazioni se la persona, che una parte vuole sentire in dibattimento, ha già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio, l’esame è ammesso solo in due casi: se riguarda fatti o circostanze diverse o se il giudice o una delle parti lo ritengono necessario.
Il diritto a partecipare all’assunzione dei mezzi di prova, infatti nell’esame incrociato sono le parti che pongono direttamente le domande; il codice prevede quali tra esse sono inammissibili, quindi spetta al giudice il potere di vietarle.
Il diritto delle parti di offrire al giudice una valutazione degli elementi di prova, si tratta del potere di argomentare sulla base dei risultati acquisiti.
Ciò avviene in dibattimento al momento della discussione finale, prima il Pubblico Ministero poi la difesa.
Il presidente dell’organo collegiale dirige la discussione ed impedisce ogni divagazione, ripetizione o interruzione.
A tale diritto delle parti corrisponde il dovere del giudice di dare una valutazione logica degli elementi di prova: nella sentenza il giudice deve indicare le prove poste alla base della sua decisione e le ragioni per le quali ritiene non attendibili le prove contrarie.
Per quel che riguarda l’ambito di applicabilità delle norme sulle prove, occorre dire che queste sono contenute nel libro III che è collocato nella prima parte del codice che è definita “statica” perché vi sono disciplinati gli aspetti comuni all’intero procedimento penale.
Pertanto le norme sulle prove appaiono applicabili in tutto il procedimento penale a meno che incompatibili con la regolamentazione del singolo atto da compiere in una determinata fase.

Tratto da DIRITTO PROCESSUALE PENALE di Stefano Civitelli
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