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Mentalizzazione



Il concetto di mentalizzazione ha sovrapposizione con vari altri concetti, in particolare Migdley si occupa del concetto di mentalizzazione (operazionalizzabile nel concetto di funzione riflessiva) di Fonagy. La mentalizzazione ha poi un aspetto operazionale, oltre che nella funzione riflessiva, nella mind mindedness di Meins. Un altro concetto simile è poi l'insightfulness di Oppenheim. Bowlby parla di open minding, cioè capacità del genitore di essere aperto mentalmente verso i bisogni del bambino. Baron-Cohen parla di teoria della mente. Si parla anche di mindreading ed empatia. Un altro costrutto importante è la mindfulness, che ha qualche similarità con la mentalizzazione, ed è l'attenzione non giudicante-accettante dei propri stati mentali e di quelli altrui nel tempo presente.
Tutti questi autori comunque danno molto importanza alla capacità di riflettere sugli stati mentali, o comunque di averli presente.
Definizione di Migdley di mentalizzazione (mutuata da Fonagy): è una attività immaginativa che permette di interpretare il comportamento umano in termini di stati mentali (a un comportamento manifesto si attribuisce uno stato mentale che può essere un bisogno, un desiderio, un'emozione, una credenza, un obbiettivo, una intenzione o una motivazione). È presente non solo nei genitori, ma in generale in tutti gli adulti. È una competenza squisitamente umana, e quanto più è alta tanto più è elevata l'intelligenza sociale (se si capiscono gli stati mentali dell'altro ci si può adattare di conseguenza), e quindi si può agire bene in situazioni competitive (per vincere sull'altro) e cooperative (per aiutare l'altro). Comporta, oltre a intelligenza emotiva, anche capacità di regolazione emotiva e agevola lo sviluppo di un sè coerente.

È un costrutto complesso, costituito da diversi aspetti:
- Componente autoriflessiva: riflessività sui propri stati mentali
- Componente interpersonale: riflessività sugli stati mentali altrui
- Componente implicita (non consapevole): ad esempio mi rendo conto automaticamente che l'altro è arrabbiato con me e reagisco di conseguenza
- Componente esplicita: è legata al linguaggio e alla riflessione conscia
- Componente cognitiva
- Componente affettiva: è l'affettività mentalizzata (ad esempio pensare o nominare la rabbia che provo in questo momento, e ciò ha già un aspetto di autoregolazione).
Se possiedo mentalizzazione allora dovrei essere capace di riflettere sia sui miei stati mentali sia su quelli degli altri, sia di farlo in modo automatico che in modo consapevole, sia sugli stati cognitivi sia sugli stati affettivi.

Come si misura la capacità di mentalizzazione in un adulto o in un adolescente? Fonagy parla di funzione riflessiva come operazionalizzazione della mentalizzazione --> la funzione riflessiva può essere valutata tramite la codifica dell'AAI. A quesito proposito Fonagy e Steele hanno elaborato una scala per valutare la mentalizzazione di un adulto, da applicare sul tracciato dell'AAI, e che attribuisce un punteggio alla capacità di mentalizzazione dell'adulto.
Un altro modo per misurare la mentalizzazione è la PDI di Slade, in cui è presente comunque la scala del sè riflessivo di Fonagy --> permette di analizzare le rappresentazioni del genitore, ma anche le sue capacità di mentalizzazione.
Scala del sè riflessivo di Fonagy (e usata anche da Slade): vedi appunti precedenti
Esistono anche questionari self-report per valutare il livello di mentalizzazione, che possono essere somministrati sia a genitori sia ad adulti in generale.

Perché è così importante, in particolare nella relazione g-b, la capacità di mentalizzazione (in modo operazionale riflessività)? Perché sembrerebbe che nella trasmissione intergenerazionale dell'attaccamento, i principali responsabili siano non solo la sensibilità e la regolazione emotiva, ma anche la riflessività della madre --> una alta riflessività correla con attaccamento sicuro del genitore e quindi ciò favorisce attaccamento sicuro nel bambino, ed è un fattore di protezione in condizioni ambientali sfavorevoli (single family, difficoltà socio-economiche, separazioni ecc). Invece un basso livello di riflessività del genitore è un fattore di rischio per la relazione g-b.
Quindi la mamma con buone capacità di riflessività in qualche modo è in grado di pensare il bambino come soggetto dotato di stati mentali, quindi "hold The baby in mind" --> ciò trasmette al bambino una capacità di tenere in mente i propri stati mentali, quindi anche lui sviluppa capacità di mentalizzazione e di esplorare con sicurezza gli Stati mentali propri e altrui.

Fonagy e Gergely hanno anche collegato le capacità di mentalizzazione della madre alle sue capacità di rispecchiamento --> mirroring marked and ostensive --> il bambino si sente così riconosciuto.
Una ricerca fatta da Fonagy mostra che una madre sicura è molto più capace di rispecchiare in modo marcato le emozioni del bambino, rispetto a una madre distanziante, che magari rispecchia le emozioni del bambino, senza però modificarle. Inoltre le madri sicure guardano di più il bambino (ostensive) rispetto alle madri distanzianti.
Nel momento in cui invece il genitore non ha una funzione riflessiva adeguata, si può creare una condizione di non validazione delle emozioni del bambino --> ad esempio la madre può rispecchiare in modo troppo realistico la paura del bambino oppure può rispecchiare una emozione diversa da quella del bambino, quindi il bambino non riesce a mentalizzare le sue emozioni. Il rischio è che si creino delle aree scisse non riconosciute di sè (ad esempio la paura non ha un nome nella mente del bambino).

Un concetto simile a quello di Fonagy e a quello appeno detto è il concetto di sè alieno: il genitore attribuisce al bambino aspetti distruttivi (critica interiore, odio verso se stesso), e così il bambino diventa un altro da sè. In questo modo si crea un nucleo del sè alieno: se è costretto a identificarsi con le caratteristiche del genitore che non gli appartengono, deve diventare qualcosa di alieno rispetto a sè (esempio: la madre attribuisce aspetti aggressivi al bambino, il bambino è costretto a interiorizzarli e diventa aggressivo, però dato che sono molto negativi questi aspetti che ha dovuto interiorizzare cercherà di espellerli in tutti i modi, ad esempio tramite condotte aggressive verso gli altri, ma anche verso se stesso, per ferire il sè alieno --> i bambino arriva a odiare se stesso). Questo è l'estremo del mancato mirroring e della non-mentalizzazione, è la situazione più a rischio.

Un altro costrutto che si collega alla mentalizzazione in modo ancora più operazionale rispetto al sè riflessivo è la mind-mindedness, che in generale è la capacità di considerare il bambino come dotato di mente (in modo simile a Fonagy). Per poterla valutare si vanno a vedere i commenti verbali del genitore nell'interazione con il bambino, per vedere se in questi commenti attribuisce stati mentali al bambino. La Meins ha messo a punto anche una intervista rivolta a madri di bambini più grandi, che serve a valutare quanto la madre è in grado di descrivere in modo mentalistico il bambino, oppure di descriverlo solo a livello fisico e di comportamento.
Secondo la teoria della Meins quindi il bambino fin dai primissimi mesi vive in un ambiente mentalizzante (se il genitore commenta i suoi stati mentali). Quanto più il genitore è sensibile, quanto più è mentalizzante, quanto più ha capacità di mind-mindedness, e quanto più è capace di costruire un ambiente che facilita attaccamento sicuro nel bambino.
La Meins, per quel che riguarda il sè alieno, distingue tra commenti verbali mentalizzanti adeguati a ciò che pensa veramente il bambino, e commenti verbali mentalizzanti che attribuiscono al bambino stati mentali non suoi (ciò può essere inferito dal contesto). La mentalizzazione deve essere quindi in grado di cogliere ciò che pensa davvero il bambino.

Migdley in alcuni suoi studi prende in considerazione la foto di una bimba che piange --> di fronte a questa foto vi possono essere diversi commenti: mentalizzazione genitoriale ben fondata / cecità mentale, cioè nessuna lettura della mente della bambina, ma un riferimento a se stessi / ipermentalizzazione, cioè attribuzione di uno stato mentale distruttivo alla bambina, che probabilmente non le appartiene, quindi qui si può parlare di sè alieno.

In sintesi: a parte i primi anni di vita (in cui è importante rispecchiamento e mind-mindedness), che cosa aumenta la capacità di mentalizzazione, anche più avanti nello sviluppo?
- genitori e fratelli che mettono in atto conversazioni sugli stati mentali non solo positivi, ma anche negativi (dialogo mentalizzante)
- Gioco di finzione: si attribuiscono agli altri degli stati mentali, o addirittura si animano oggetti a cui si danno una serie di caratteristiche. È quindi importante che il genitore o l'educatrice al nido facilitino il gioco simbolico, per favorire lo sviluppo delle capacità di mentalizzazione.

Che vantaggi ha un bambino con genitore mentalizzante?
- migliori capacità di regolazione
- Minore rischio psicopatologico relativo a disregolazione emotiva, quindi minore rischio di disturbi esternalizzanti
- Maggiore probabilità di attaccamento sicuro, anche in condizioni di deprivazione
- Il bambino sviluppa maggiore fiducia nell’altro e nell’apprendere dall’altro.
-> ha un impatto sullo sviluppo del bambino a vari livelli

Quando la mentalizzazione fallisce nella famiglia? In quali condizioni?
- condizioni di violenza domestica o di accesa conflittualità, in cui i l bambino è esposto continuamente a emozioni non mentalizzate
- Depressione, che fa sì che la madre sia troppo preoccupata dal proprio disagio
- Eventi stressanti che occupano la mente del genitore
- Situazioni in cui la mentalizzazione è eccessiva, cioè ad esempio famiglie in cui tutto è trasparente e i genitori non lasciano uno spazio di segretezza al bambino, avendo una sorta di manipolazione della mente del bambino/adolescente
- Manipolazione dei pensieri del proprio bambino: il genitore sa benissimo cosa pena il bambino, e usa questa consapevolezza per i suoi scopi
 
Conseguenze negative della mancata mentalizzazione:
- scarsa capacità di pensare a se stessi e agli altri come soggetti di stati mentali
- Focalizzazione prevalente su comportamenti e utilizzo di modalità di mentalizzazione automatica, ad esempio per rilevare le minacce (interpretare immediatamente le emozioni dell'altro come aggressive e agire di conseguenza --> ricorso eccessivo alla mentalizzazione implicita)
- Difficoltà a comprendere le proprie e mozioni e a utilizzare questa comprensione per regolare le emozioni.

Quali sono i vari tipi di fallimento nella mentalizzazione che si verificano in varie situazioni problematiche? Normalmente la mentalizzazione funziona, e in un campione normale il punteggio nella scala di riflessività è in media di 4-5, però i punteggi, in campioni a rischio, possono essere anche molto più bassi. I fallimenti sono i seguenti:
- Ipomentalizzazione (difficolta ad attribuire stati mentali ad altri): bambini e adolescenti dello spettro autistico hanno difficoltà di mentalizzazione (infatti il bambino autistico non è neanche in grado di giocare a livello simbolico, ma gioca in modo stereotipato) e di empatia. Inoltre i bambini autistici già a 12-14 mesi hanno forti difficoltà nell’intraprendere con l’adulto un’attività di attenzione condivisa. Ipomentalizzazione è presente anche in bambini con problemi esternalizzanti, che hanno difficoltà nella comprensione delle emozioni.
- Ipermentalizzazione (può essere considerata come una sorta di mentalizzazione fraintendente —> è quella in cui si attribuiscono stati mentali all’altro, molto spesso negativi, che però non appartengono all’altro —> distorsione dello stato mentale dell’altro): in soggetti borderline e bambini maltrattati si verifica una iperinterpretazione dei segnali sociali, spesso con attribuzioni negative, quindi ipermentalizzano la negatività nell’altro (anche se l’altro non è portatore di aggressività e ha una espressione del tutto neutra). I genitori borderline ad esempio potrebbero attribuire al bambino che piange una intenzionalità molto più negativa rispetto alla realtà (“mi odia”). Ciò avviene anche in bambini con ansia sociale (attribuiscono ad altri intenzioni negative e per questo sono eccessivamente preocccupati nell’incontro con l’altro) e in bambini depressi (anche loro tendono ad attribuire agli altri stati negativi).
- Pseudomentalizzazione (implica che si legga lo stato mentale dell’altro con una funzione manipolatoria): bambini con disturbo esternalizzante accentuato usano la comprensione degli stati mentali altrui a scopo manipolatorio, ad es. «leggendo» aspetti vulnerabili e di debolezza nei compagni —> ciò succede ad es. nel bullismo. Soggetti affetti da psicopatia usano la comprensione degli stati mentali/emotivi dal punto di visto cognitivo però con empatia a grado zero (capiscono che l’altro ha paura, ma ciò gli è del tutto indifferente e continuano nel loro scopo) —> è una mentalizzazione solo cognitiva, ma non affettiva-empatica.

Come è possibile intervenire? Migdley esemplifica una serie di interventi rivolti alle famiglie o ai bambini. Essi sono interventi preventivi/terapeutici rivolti a condizioni di genitorialità a rischio nel primo anno di vita (depressione post-partum, rischio psicosociale, esperienze traumatiche ecc), che hanno l’obiettivo di prevenire il rischio psicopatologico successivo. In tali interventi il focus non è solo sulla sensibilità del genitore, ma anche sulle sue capacità di mentalizzazione riferite a sé e al bambino, e quindi l’efficacia dell’intervento viene valutata non solo rispetto alla sensibilità del genitore ma anche alle sue capacità di mentalizzazione (se è aumentata rispetto a prima dell’intervento).

In questi interventi ci si può concentrare su due livelli:
- Si può andare a osservare il conflitto (riguardante le relazioni precoci) che viene proiettato dal genitore sul figlio e cercare di risolverlo. Focus sul conflitto
- Si può andare ad analizzare e potenziare le capacità di mentalizzazione del genitore, quindi la sua capacità di riflettere sui suoi stati mentali nella relazione attuale con il bambino. Focus sulla mentalizzazione.
Al terapeuta viene richiesta capacità di di mentalizzare gli stati emotivi del paziente.

La terapia basata sulla mentalizzazione (MBT): È un approccio terapeutico (elaborato da Fonagy e Bateman) che nasce per il trattamento di disturbo borderline di personalità (che creava molti problemi a livello terapeutico ed è rivolto ai soggetti adulti. Successivamente è stato ampliato, in modo da essere applicato anche a bambini, famiglie, famiglie adottive ecc. Principali problematiche presenti nei pazienti borderline: relazioni intime difficoltose (possono diventare molto vischiose e simbiotiche, e successivamente distanzianti), difficoltà nella regolazione emotiva (pazienti borderline ricorrono spesso a condotte impulsive e autolesive per regolare le emozioni) e dispersione identitaria —> sono collegate a problemi nella mentalizzazione —> quindi, a livello terapeutico, piuttosto che lavorare sulla conflittualità relazionale del paziente (che si era rivelato piuttosto difficoltoso), si cerca di lavorare sulle capacità di mentalizzazione, quindi sulla sua capacità di riflettere sui suoi ed altrui stati mentali ed emozioni (spesso rabbia, tristezza, vuoto)

In situazioni di stress relazionali i pazienti borderline hanno le seguenti distorsioni nella mentalizzazione:
° Percezione degli stati mentali altrui erronea
° Difficoltà a mentalizzare le proprie emozioni

Intervento MBT:
° Aumentare le capacità mentalizzanti del soggetto riferite a sé e agli altri
° Mentalizzazione delle emozioni

Le caratteristiche chiave di un atteggiamento terapeutico mentalizzante (non solo con i borderline, ma anche con bambini e famiglie):
° Presenza empatica e non giudicante
° Fare domande sugli stati mentali del paziente e commentare i comportamenti che il paziente racconta in funzione di questi stati mentali
° Avere la mente aperta verso gli stati mentali altrui, assumendo nel colloquio «un’incertezza sicura», mostrandosi curioso verso gli stati mentali altrui, e cercando al contempo di attivare nel paziente una tale curiosità
° Avere presente l’opacità della mente, cioè la difficoltà a leggere gli stati mentali nell’altro.
° Attivare la mentalizzazione nel paziente (il terapeuta cerca molto di più di attivare la mentalizzazione nel paziente nel qui ed ora, piuttosto che interpretare i conflitti inconsci provenienti dal passato del paziente).

Gli interventi MBT rivolti a genitori e bambini:
* MBT- Families: rivolto a famiglie con problemi relazionali con il proprio bambino. Rivolto anche, con un programma specifico, a famiglie di bambini adottati
* MBT-Parents: rivolto a genitori con disturbo borderline della personalità
* Minding the baby: programma di prevenzione rivolto a madri e bambini nei primi anni di vita
* MBT-children

MBT- Children: è rivolto a bambini tra i 5 e i 12 anni con varie possibili problematiche tra le quali:
- Difficoltà nell’attenzione
- Regolazione emotiva inadeguata con problemi esternalizzzanti e internalizzanti
Il numero di sedute prefissato e al contempo si effettua un intervento con i genitori.

Scopi: Recupero/sviluppo della capacità di mentalizzazione nell’ambito di una relazione di attaccamento, con l’obiettivo di:
* Migliorare la capacità di regolazione emotiva ad es. aggressività, impulsività
* Rinforzare il senso di sé
* Creare narrative relative a eventi di vita stressanti e/o traumatici (malattia di un genitore, divorzio, esperienze di bullismo).

Tratto da PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO SOCIO-AFFETTIVO di Mariasole Genovesi
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