II
attivamente le informazioni per i prodotti o servizi a cui è interessato, andando al di là 
delle indicazioni fornite dalla pubblicità e in più esige elevati standard di servizio; inoltre 
nell’effettuare i propri acquisti non è soltanto guidato dalla razionalità, ma anche 
dall’emotività, e questo pure in un settore prettamente guidato da logiche 
“efficientistiche-razionali” qual è quello bancario. 
Negli ultimi anni, quindi, per rispondere all’evoluzione dei modelli comportamentali dei 
consumatori e per sfruttare le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, Internet in 
primis, si è sviluppata la filosofia del “marketing relazionale” che ha rivoluzionato il 
modo di intendere il rapporto banca-cliente. Il marketing relazionale differisce dal 
tradizionale mass marketing poiché non ricerca un temporaneo incremento nelle vendite, 
ma cerca di produrre valore creando coinvolgimento e fedeltà attraverso un legame 
permanente con il consumatore.  
La necessità di conoscere la composizione della propria base clienti, onde instaurare 
relazioni proficue e durature, si collega a quella della segmentazione della domanda, 
intesa come suddivisione del mercato in gruppi (segmenti) omogenei, sulla base di 
opportune variabili (geografiche, psico-socio-economiche, psicografiche, 
comportamentali), che costituiscono la cosiddetta base di segmentazione, onde arrivare ad 
offrire il “prodotto giusto al momento giusto”. 
Infine, per ogni impresa risulta di primaria importanza acquisire e tenere legati i migliori 
clienti meglio dei concorrenti. La fidelizzazione della clientela non è un semplice 
strumento operativo di marketing, ma costituisce una vera e propria strategia aziendale 
che, oggi, nelle aziende di credito viene preferita alla strategia di acquisizione di nuovi 
clienti: la fidelizzazione del cliente, in effetti, consente alla banca di creare il circolo 
virtuoso: elevata soddisfazione/fedeltà/ sviluppo dei margini. 
Date queste premesse, quindi, nel secondo capitolo si introduce il processo di direct 
marketing, inteso quale strumento di implementazione del marketing relazionale e in 
generale delle strategie competitive delle imprese bancarie, in quanto consente a queste di 
costruire e di coltivare la relazione con la propria clientela attuale e potenziale attraverso 
un processo di comunicazione bidirezionale e interattivo  e che punta al valore della 
relazione nel tempo, ovvero, in altre parole al Lifetime Value (LTV) del cliente. 
Il direct marketing non è più, semplicemente, una tattica di vendita (in quanto nato  con le 
vendite per catalogo) o uno degli strumenti del mix della comunicazione (utilizzato come 
tattica per incrementare le vendite nel breve periodo), ma si è evoluto negli anni insieme 
al contesto economico, sociale e tecnologico arrivando a diventare un sistema di 
  
III
marketing completo, grazie al quale è possibile effettuare l’analisi, la pianificazione delle 
attività, l’implementazione e il controllo. Accogliamo, quindi, la definizione data da 
Stone, Bond e Blake del direct marketing come “l’implementazione pianificata, la 
registrazione, l’analisi e il monitoraggio del comportamento della risposta diretta dei 
clienti nel tempo per ricavare future strategie di marketing, per sviluppare la fedeltà dei 
clienti sul lungo termine e per garantire una continua crescita aziendale”. Di conseguenza 
il direct marketing è un processo continuo di acquisizione di nuovi clienti, di un continuo 
soddisfacimento dei clienti esistenti e della valorizzazione di tutti i clienti per ottenere 
una maggiore fedeltà e un aumento degli acquisti, ovvero un processo circolare, che porta 
le aziende, nella fattispecie quelle di credito, ad effettuare ad ogni feedback proveniente 
dalle azioni di direct marketing un “fine tuning” delle proprie strategie di marketing e in 
generale di modulare la propria offerta in maniera sempre più mirata alla necessità e ai 
bisogni espressi dal proprio mercato, coltivando e sviluppando allo stesso tempo una 
relazione con ciascun cliente. 
Le banche, infine, non devono disperdere il patrimonio informativo sulla propria base 
clienti, in quanto la maggiore efficacia delle azioni di direct marketing dipende proprio 
dalla conoscenza e dalle informazioni sul proprio mercato: a tal fine risulta 
imprescindibile per un’azienda che voglia attuare strategie di marketing diretto, possedere  
un database aggiornato, contenente le principali informazioni sui propri clienti e la storia 
delle transazioni. Il secondo capitolo, quindi, si sofferma sull’importanza del database di 
marketing per il direct marketing e su come si costruisce, gestisce e sulle tecniche di 
analisi delle informazioni contenute in esso (“targeting & customer profiling”), ai fini di 
un loro utilizzo per una campagna di marketing diretto. 
Nel terzo capitolo viene discusso il ruolo che è possibile assegnare al direct marketing 
all’interno della strategia aziendale: molte banche partendo da un approccio tattico hanno 
in seguito assegnato ad esso un ruolo strategico che convive e si coordina con la strategia 
di marketing e con la strategia generale dell’impresa, ma esistono casi di banche in cui 
tutta l’impresa funziona secondo le logiche di direct marketing, si fa riferimento alle 
banche che operano attraverso i canali virtuali di Internet e telefono senza una propria rete 
fisica di sportelli.  
La peculiarità di questo processo per quanto riguarda la scelta degli obiettivi, è che, a 
differenza degli obiettivi di marketing, l’attenzione è indirizzata ai mercati (clienti) invece 
che ai prodotti, poiché nel marketing diretto il mercato di riferimento è quello contenuto 
  
IV
nel proprio database, di conseguenza, gli obiettivi vengono solitamente espressi in termini 
di clienti (da acquisire e da fidelizzare), invece che di prodotti venduti.  
Fondamentalmente, quindi, il ruolo del direct marketing nella strategia di un’impresa è 
costituito dall’uso delle informazioni sul cliente, conservate in un database, per guidare le 
azioni dell’impresa stessa. Poiché le informazioni sono organizzate attorno ai clienti, e 
non ai prodotti, l’impresa bancaria può dedicarsi al rapporto con gruppi di clienti, o 
addirittura con i singoli clienti, nel corso del tempo. Il vantaggio competitivo 
dell’azienda, dunque, non deriva dalle caratteristiche del prodotto o dalla personalità della 
marca, ma dalle informazioni sui clienti e sull’uso di tali informazioni per offrire ai clienti 
esistenti un valore superiore e coerente. Per cui, si potrebbe affermare, che il ruolo 
strategico più importante del direct marketing è dato dal fatto che permette di conseguire 
una superiore fedeltà del cliente, che è quanto, come accennato, le banche ricercano oggi 
nell’attuale scenario competitivo, poiché gli potrà garantire una redditività nel lungo 
periodo. 
In quanto sistema di marketing completo, come definito sopra, infine, il momento della 
pianificazione assume un ruolo importante per il direct marketing. Un piano di direct 
marketing ha la medesima funzione di un piano di marketing, in quanto fornisce le linee 
guida per realizzare gli obiettivi strategici del marketing diretto, ma se ne differenzia 
fondamentalmente, poiché comprende, come accennato, una parte importante di analisi 
del database di marketing, per realizzare la segmentazione, il targeting, nonché di analisi 
dei risultati delle attività di test, che precedono sempre la realizzazione su scala più ampia 
delle iniziative legate all’offerta e alla comunicazione. 
Tipicamente, il piano di direct marketing si articola nelle seguenti aree: analisi, offerta, 
creatività e media, servizio clienti. La parte più critica nella definizione del piano è 
sicuramente quella che riguarda le decisioni sui media attraverso i quali veicolare il 
messaggio e l’offerta, poiché costituiscono anche una delle voci di costo più “pesanti”. 
Alan Tapp ha proposto una metodologia per effettuare un confronto tra i vari media al 
fine di effettuare una scelta corretta di quello più adatto a implementare un’azione di 
direct marketing, ed è data dalla griglia di valutazione detta AIMRITE, le cui 
caratteristiche saranno discusse sempre  nel terzo capitolo.  
Un’altra peculiarità del marketing diretto rispetto al mass marketing è la sua misurabilità, 
poiché il numero e le caratteristiche dei clienti e dei contatti sono per il direct marketing 
dati certi e, comunque, ampiamente conosciuti (non frutto di ipotesi e stime), e quindi il 
risultato ottenibile è calcolato con notevole precisione perché espressione della quantità di 
  
V
risposte ricevute a seguito di una specifica iniziativa di comunicazione diretta e 
interattiva. 
Il quarto capitolo, infine, passa in rassegna gli strumenti del direct marketing da noi 
suddivisi in strumenti classici (direct mail, telemarketing, call center, direct response 
advertising) e strumenti innovativi (Internet, e-mail marketing, mobile marketing), 
analizzando i punti di forza di ciascuno di questi strumenti e come vengano attualmente 
utilizzati dalle banche, tramite alcuni esempi di direct marketing bancario. 
Il lavoro si chiude con l’analisi di due ricerche (una italiana e l’altra europea) sul grado di 
utilizzo del direct marketing da parte delle imprese bancarie e sulla sua efficacia. Il 
risultato ottenuto ci dice che le banche italiane stanno sempre più imparando l’uso di 
questo importante strumento di comunicazione e di relazione, ma che rispetto alla media 
europea sono ancora all’ultimo posto in termini di efficacia, per cui esistono degli spazi di 
miglioramento. 
  
1
CAPITOLO 1 
I CAMBIAMENTI NEL MERCATO BANCARIO: 
IMPORTANZA DELLA FUNZIONE MARKETING 
 
1. Da banca istituzione a banca impresa: i cambiamenti imposti dal 
nuovo scenario normativo/istituzionale 
 L’applicazione degli strumenti e delle modalità operative del marketing alle 
imprese bancarie in Italia, ha radici recenti, rispetto agli altri tipi d’imprese, sia industriali 
che commerciali o di servizi, e ciò è dovuto alla particolarità dell’attività bancaria 
considerata dall’abrogata legge bancaria del ’36 come “funzione d’interesse pubblico”, e 
il cui esercizio veniva sottoposto ad un regime autorizzatorio secondo il quale le autorità 
creditizie potevano sindacare anche “le esigenze economiche del mercato” nel momento 
in cui erano chiamate ad autorizzare la costituzione di un nuovo ente bancario
1
. Il mercato 
bancario era perciò un mercato protetto, in cui non essendovi pressioni concorrenziali, gli 
operatori presenti non avevano stimoli ad operare secondo canoni di efficienza, inoltre la 
maggioranza delle banche era in mano pubblica, organizzate secondo la forma dell’ente 
pubblico economico a struttura di fondazione
2
. Banche come istituzioni, piuttosto che 
imprese, per cui i concetti elaborati dalle teorie di marketing, almeno fino alla fine degli 
anni ’70, non avevano grande se non alcuna applicazione: le leve del marketing mix erano 
largamente influenzate sia da istruzioni sia da direttive delle autorità creditizie. In 
particolare, per quanto riguarda il prodotto, le banche potevano svolgere esclusivamente 
le attività indicate negli statuti, controllate peraltro dalla Banca d’Italia, quindi non erano 
                                                 
1
 In tutti i moderni sistemi economici l’attività bancaria è stata sottoposta a forme, diversificate per natura 
ed intensità, di regolamentazione e controllo da parte dei pubblici poteri. Ciò per molteplici e articolate 
ragioni riconducibili, in via di sintesi, alle esigenze di conduzione della politica monetaria (ed il sistema 
bancario rappresenta un importante canale di trasmissione degli impulsi), di tutela del risparmio e di 
protezione degli investitori, nonché alla necessità di sopperire ai “fallimenti” del mercato e, più in generale, 
al fine di prevenire le esternalità negative per il sistema economico delle crisi bancarie. Cfr. R. Ruozi, 
Economia e Gestione della Banca, Egea (2002) 
2
 Con la legge bancaria del 1936 il mercato del credito assunse le caratteristiche di un oligopolio 
amministrato, nell’ambito del quale la concorrenza fra le imprese poteva essere ridotta ad un ruolo 
marginale, inoltre si imponeva una forte specializzazione delle imprese bancarie, dettando statuti 
nettamente differenziati in funzione di tale specializzazione. Cfr. R.Costi, L’ordinamento bancario, Il 
Mulino (2001) 
  
2
possibili personalizzazioni del prodotto, anche perché l’attività di servizio all’attività 
bancaria vera e propria (raccolta del risparmio ed esercizio del credito) aveva scarso 
sviluppo. Per quanto riguarda i tassi attivi e passivi, erano anch’essi oggetto d’istruzione 
da parte delle autorità, e le esigenze di stabilità contrastavano con rischiose modificazioni. 
Con riferimento alla leva della distribuzione: l’istituzione di nuovi sportelli (canali 
principali di distribuzione) era rimessa all’autorizzazione discrezionale della Banca 
d’Italia. 
Nessun limite era imposto all’attività promozionale dell’ente creditizio, ma visto il 
mercato in cui andava ad operare (controllato, prevalentemente in mano pubblica, 
specializzato funzionalmente, territorialmente e temporalmente), scarsi erano i vantaggi 
che si sarebbero ottenuti, in quanto l’attività promozionale sarebbe risultata isolata 
rispetto alla gestione complessiva della banca ed è risultata comunque, quando svolta, 
un’attività rivolta a promuovere l’istituzione in generale (pubblicità istituzionale) 
piuttosto che i prodotti o i servizi offerti. 
La prima svolta si ha con il D.P.R. 27 giugno 1985, n.350, di attuazione della prima 
direttiva comunitaria in materia creditizia (Dir. 77/80 del 12 dicembre 1977), in cui viene 
riconosciuto il diritto all’ingresso sul mercato bancario a favore di qualunque soggetto 
che presenti le “qualità” oggettive richieste dalla legge per poter esercitare la relativa 
attività; con questo decreto, quindi si avvia la liberalizzazione dell’attività bancaria, e 
successivamente viene anche sancita la libertà per le banche di definire la propria rete 
distributiva (apertura di nuovi sportelli), in conformità alle proprie strategie di mercato e 
infine la possibilità di operare senza limiti temporali venendo a cadere la differenza fra 
credito ordinario e credito speciale, quello cioè a medio e lungo termine che poteva essere 
esercitato solo dagli “Istituti di credito speciale” o da “sezioni speciali” delle aziende di 
credito ordinario
3
.  
Per quanto riguarda il problema della struttura organizzativa, risultava ormai 
anacronistico con la nuova concezione dell’attività bancaria come attività d’impresa la 
forma di ente pubblico a struttura di fondazione
4
 e dal 1990 (L.218/’90, c.d. legge Amato) 
                                                 
3
 Questa forma di specializzazione bancaria era stato il frutto della consapevolezza, acquisita attraverso le 
vicende della banca mista, dell’opportunità di impedire che le banche che raccoglievano risparmio a vista o 
a breve effettuassero, oltre certi limiti, operazioni di impiego che comportassero immobilizzazioni 
incompatibili con le caratteristiche della provvista. Cfr. R. Costi, Op. cit. 
4
 L’organizzazione interna tipica degli enti a struttura di fondazione non consentiva alcuna separazione, pur 
opportuna per l’efficienza dell’impresa, fra organi di gestione ed organi di controllo e, per definizione, tali 
enti non potevano incrementare i fondi se non attraverso l’autofinanziamento. Cfr. R. Costi, Op. cit. 
  
3
si è cominciato a trasformare le banche in società per azioni e il controllo pubblico è 
andato progressivamente diminuendo a seguito della vendita di buona parte dei pacchetti 
azionari di controllo. 
L’ordinamento bancario è oggi disciplinato dal D. Lgs. 1°settembre 1993 n.385 (Testo 
Unico Bancario), che ha recepito anche la seconda direttiva comunitaria in materia 
bancaria (Dir. 15 dicembre 1989, n.646), la quale ha tra i suoi principi quello del “mutuo 
riconoscimento” e quello del “home country control”, per cui le banche italiane sono 
proiettate all’interno del mercato europeo, in quanto sono libere di esercitare la propria 
attività, se autorizzate in Italia, in qualunque altro stato della Comunità, direttamente, 
anche senza l’apertura di sedi o filiali (ciò vale anche mutatis mutandis per una banca 
comunitaria che voglia esercitare la propria attività in Italia), e l’autorità che vigila sul 
loro corretto operato è comunque quella del paese d’origine della banca stessa
5
. 
A conclusione di questo breve excursus sui mutamenti normativo/istituzionali del mercato 
bancario si vuole sottolineare come la banca oggi è a tutti gli effetti un’impresa che può 
esercitare oltre all’attività propria (bancaria) “ogni altra attività finanziaria, secondo la 
disciplina propria di ciascuna di esse, nonché attività connesse o strumentali”(art.10 
3°comma, T.U. 385/’93), e che può esercitare queste attività sia nella forma di banca 
universale sia in quella di gruppo polifunzionale, in cui le varie attività sono svolte da 
soggetti diversi sotto la comune direzione di una holding-capogruppo
6
. 
 
2. La concorrenza nel mercato bancario 
 Non sono stati solo i mutamenti a livello normativo/ istituzionale (anche se sono 
quelli più incisivi) a mutare lo scenario in cui le banche oggi operano. Ad essi bisogna 
aggiungere sicuramente il progresso tecnologico, la globalizzazione e l’evoluzione della 
domanda, che non ha più un ruolo passivo rispetto all’offerta, ma la influenza in maniera 
sempre maggiore, e infine l’aumento del numero dei competitors, sia stranieri sia di altri 
settori, conseguente a tutte queste modifiche: da un mercato protetto e regolamentato a 
uno libero (anche se non del tutto: alcune fondamentali regole del gioco, data la criticità 
per il sistema economico dell’attività bancaria, resistono), le banche devono reinventare il 
                                                 
5
 L’attività di vigilanza, oggi, non può più sindacare le “esigenze economiche del mercato", ma viene 
esercitata avendo esclusivo riguardo “alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità 
complessiva, all’efficienza e alla competitività del sistema finanziario” (art. 5, comma 1 D.Lgs. 385/’93). 
6
 In riferimento al dibattito su quale dei due assetti istituzionali sia più efficiente si veda M. Baravelli, 
Strategia e organizzazione della banca, pag. 255  e segg., Egea, (2003). 
  
4
loro modo di “fare banca” adeguando i propri approcci strategici, organizzativi e 
gestionali al cambiamento avvenuto, nonché procedere ad una profonda ridefinizione 
delle strategie competitive nei confronti della clientela. 
Soffermandoci sui competitors delle banche, essi sono dati dagli intermediari finanziari 
non bancari: società di investimento mobiliare (SIM), società di gestione del risparmio 
(SGR), organismi di investimento collettivo del risparmio (SICAV, fondi pensione ecc.) 
che hanno in parte influito nel processo di disintermediazione che le banche hanno subito 
negli anni passati; dalle grandi banche estere che trovano appetibile il mercato bancario 
italiano, il quale non ha ancora raggiunto quelle dimensioni da poter competere con i 
mercati stranieri più evoluti; da Poste italiane spa che ha concentrato le sue strategie 
commerciali sul mass market (il mercato dei privati a basso reddito/patrimonio), puntando 
sulla capillarità della propria rete distributiva e utilizzando le altre leve del marketing-
mix, in modo da ottenere un’immagine moderna e lontana dai modelli burocratici del 
passato
7
. 
Le prime risposte a questi mutamenti si sono avuti in relazione alla definizione delle 
dimensioni ottimali delle imprese bancarie: la maggioranza delle banche italiane erano 
banche di piccole dimensioni a vocazione regionale, se non provinciale, mentre quelle a 
livello nazionale erano una minoranza e comunque di minor dimensione rispetto alle 
medie europee, scontando quindi problemi di efficienza e di costi operativi superiori. È 
cominciato quindi, e continua ancora oggi un processo di acquisizioni e concentrazioni 
tramite fusioni e incorporazioni, favorito anche dalle autorità del settore, al fine di 
raggiungere dimensioni maggiori per meglio ottenere economie di scala e di scopo ed 
essere più in linea con i grandi colossi esteri
8
: anche se non ci si è potuti sottrarre alle 
mire espansionistiche di alcune banche europee che hanno acquisito recentemente due 
                                                 
7
 Nonostante le nuove strategie siano state avviate di recente, Poste Italiane è diventato, in un breve arco 
temporale, il quarto player italiano per numero di conti correnti e ha conquistato la leadership 
nell’emissione di carte di debito (Postamat). Esso si configura inoltre come importante collocatore di 
obbligazioni e mantiene il ruolo storico di amministratore del risparmio con i prodotti tradizionali (buoni e 
libretti). Cfr. M. Baravelli, A. Omarini (a cura di), Le strategie competitive nel retail banking, Bancaria 
editrice (2005). 
8
 Il processo di concentrazione che ha caratterizzato il mercato bancario negli ultimi anni, non è comunque 
privo di conseguenze negative, la più importante riguarda il fatto che le banche locali avevano un rapporto 
molto forte in termini di fiducia e di conoscenza con la propria clientela. Ciò a cui si assiste, nel momento 
in cui in una determinata area geografica “viene meno” la storica banca locale di riferimento (banca 
popolare o cassa di risparmio), perché assorbita da una banca nazionale oppure concorrente alla formazione 
di una nuova realtà, è un diffuso disorientamento della clientela locale, (operatori economici e privati) che 
può portare all’abbandono della stessa banca, se questa non riesce a mantenere i valori locali e a coltivare la 
relazione. Cfr. M.Barvelli, A. Omarini, Op. cit. 
  
5
importanti banche italiane, entrando quindi dalla porta principale nel mercato italiano e 
lanciando nuove sfide concorrenziali ai grandi gruppi italiani. 
Per quanto riguarda le attività degli intermediari non bancari, le banche hanno creato delle 
società ad hoc (sim, sgr), o hanno acquisito taluni di questi intermediari al fine di 
arricchire l’offerta alla clientela e non restare indietro nell’offerta di servizi finanziari 
innovativi e di gestione del risparmio, stante anche l’evoluzione dei consumatori di questi 
servizi: si sono sviluppate anche in Italia quindi, le attività di investment banking, 
merchant banking e corporate finance nei confronti delle imprese, e quelle di asset 
management nei confronti dei patrimoni dei privati. Le banche di non grandi dimensioni 
hanno optato invece per l’outsourcing, distribuendo cioè servizi di gestione patrimoniale 
prodotti da terzi. 
Accanto ai cambiamenti fisici/strutturali, come detto, le banche devono cambiare anche la 
propria mentalità e la propria cultura, orientando definitivamente le proprie scelte e le 
proprie strategie al mercato, non in maniera passiva, ma alla ricerca costante di un 
vantaggio competitivo difendibile nel tempo. 
 
3. Il marketing bancario 
Solo negli ultimi anni le banche hanno sviluppato all’interno della propria 
organizzazione una funzione marketing più complessa ed evoluta rispetto al passato, in 
quanto come detto, le spinte competitive all’interno del proprio mercato non consentono 
più semplici azioni tattiche di aumento delle vendite nel breve periodo, ma la ricerca di 
una vantaggio competitivo di più ampio respiro e non basato semplicemente su variabili 
di prezzo, che alla lunga aumentano i costi e non la redditività. 
Per comprendere meglio il ruolo che questa funzione svolge, oggi e in prospettiva nei 
prossimi anni, bisogna partire dal definire un concetto di questa disciplina e come questa 
si sia evoluta all’interno delle banche. Kotler e Scott definiscono il marketing come il 
“processo sociale e manageriale mediante il quale una persona o un gruppo ottiene  ciò 
che costituisce oggetto dei propri bisogni e desideri creando, offrendo e scambiando 
prodotti e valore con altri”
9
, e quindi nell’ottica di un impresa il marketing è una filosofia 
gestionale che assume come punto di partenza e premessa indispensabile la finalizzazione 
                                                 
9
 P. Kotler, W.G. Scott, Marketing management, pag.5, ISEDI, (1993) 
  
6
della gestione al mercato, ovvero la soddisfazione delle esigenze della clientela attuale e 
potenziale
10
. Al tempo stesso, si propone di monitorare la relazione con il cliente, per 
garantire all’impresa un vantaggio competitivo nei confronti delle risposte strategiche dei 
concorrenti. Nel definire le proprie strategie, quindi l’impresa non potrà fare a meno di 
studiare il proprio mercato, considerandolo non come dato e in maniera passiva, ma 
cercando la massima interazione con esso e in maniera coerente con i propri obiettivi. 
Obiettivi, strategie e tattiche di marketing devono essere tra loro integrati e correlati, 
affinché l’azione di mercato nel suo complesso risulti coerente e in linea con la più 
generale mission aziendale e anche l’organizzazione deve avere questo generale 
orientamento al mercato per facilitare la diffusione di questa “filosofia del cliente”. 
Si è pertanto passati da una situazione di orientamento al prodotto all’orientamento al 
marketing. In particolare il primo è tipico delle situazioni di mercato in cui la domanda 
eccede l’offerta (mercato del venditore)
11
, in cui la banca non ha necessità di svolgere 
alcuna attività di marketing, poiché comunque venderà ciò che produce e l’unico interesse 
può essere dato dallo sviluppo di tecniche produttive che consentano il conseguimento di 
costi più bassi e di disporre di una forza vendita  che si occupi del collocamento dei 
prodotti: importanza, quindi, di una rete sviluppata di sportelli e di personale senza 
particolare specializzazione dato che i consumatori attribuiscono la loro preferenza a 
prodotti ampiamente diffusi e a basso costo. Questa è la situazione in cui si trovavano gli 
istituti di credito negli anni cinquanta, che, come detto, operavano in un mercato protetto 
in regime di oligopolio, non vi era alcuno stimolo allo sviluppo di prodotti e dei servizi 
che anzi erano indifferenziati. 
Successivamente, a partire dalla fine degli anni settanta e maggiormente negli anni 
ottanta, la capacità produttiva aumenta, rispetto alla domanda, per cui si cominciano ad 
avvertire le pressioni concorrenziali e la necessità di essere più attivi rispetto al proprio 
mercato, la liberalizzazione dell’attività completa poi la trasformazione: questa fase è 
                                                 
10
 Il marketing, inteso come insieme di attività svolte dall’impresa allo scopo di stabilire un organico 
rapporto fra la propria capacità di produrre beni e servizi e la domanda espressa dal mercato, ha origini 
abbastanza recenti. Il suo sviluppo infatti ha inizio nei primi decenni del secolo come conseguenza del 
raggiungimento, da parte dei sistemi produttivi dei paesi a economia capitalistica, del livello di relativa 
saturazione dei bisogni “storicamente consolidati” mediante la produzione di beni di massa standardizzati e 
a basso costo. Cfr. W.G. Scott, Manuale di marketing bancario, UTET, (1995) 
11
 Cfr.  W.G. Scott, Op. cit. 
  
7
chiamata di orientamento alla vendita, si cominciano ad applicare tutte quelle tecniche 
che permettono di aumentare le vendite: manovra del prezzo, pubblicità, promozione 
delle vendite ecc.: quelli accennati sono sì strumenti di marketing, ma non si può ancora 
affermare che l’impresa sia orientata al mercato nel senso del marketing, in quanto le 
banche non si preoccupano ancora di studiare i bisogni e le necessità dei clienti e 
“l’obiettivo non è tanto produrre ciò che possono vendere, quanto piuttosto di vendere ciò 
che producono”
12
, l’atteggiamento è di tipo reattivo-adattivo rispetto all’ambiente 
circostante e i vantaggi competitivi sono deboli e facilmente imitabili. 
Gli strumenti di approccio al proprio mercato si sono molto evoluti negli ultimi anni, 
anche grazie allo sviluppo delle tecnologie dell’informazione che consentono una 
conoscenza più approfondita dell’ambiente esterno (ricerche di mercato), all’introduzione 
delle tecniche della segmentazione, alla ricerca del miglior posizionamento strategico, ma 
tutti questi strumenti solo da poco si stanno traducendo da semplici tattiche in veri e 
propri orientamenti strategici: le imprese bancarie solo da qualche anno si stanno 
orientando al mercato secondo il concetto di marketing, e la trasformazione è ancora in 
corso. Per banca orientata al marketing, intendiamo d’accordo con Scott quella che: 
• applica le metodologie, i sistemi e gli strumenti del marketing sia nella definizione 
delle scelte strategiche di mercato sia nella messa a punto dei piani operativi che 
delle prime costituiscono il momento attuativo; 
• progetta la propria struttura organizzativa e i meccanismi operativi in modo da 
assicurare il coordinamento delle attività sul mercato e la loro integrazione nelle 
gestione complessiva; 
• sviluppa e diffonde una cultura del mercato a tutti i livelli organizzativi. 
Da questo punto di vista il marketing non può essere relegato a semplice funzione 
aziendale, indipendente dalle altre, ma viceversa assume un ruolo trasversale all’interno 
dell’azienda, andando ad influenzare le scelte a tutti i livelli e non solo quindi le scelte a 
livello operativo di combinazione del marketing- mix
13
. A tal fine le banche negli ultimi 
anni hanno dovuto modificare e ripensare non solo la propria cultura e il proprio 
orientamento al mercato (come detto sopra), ma ripensare anche i propri assetti 
                                                 
12
  Cfr. W.G. Scott, Op. cit. 
  
8
organizzativi, d’accordo col paradigma “ambiente-strategia-struttura”
14
, ciò significa che 
le nuove strategie competitive che le banche stanno sviluppando in relazione al mutato 
contesto normativo/istituzionale dell’ambiente in cui operano, la crescita dimensionale e 
le politiche di differenziazione e diversificazione in atto portano ad un ripensamento 
anche della loro struttura organizzativa
15
. 
Per quanto riguarda le nuove tecnologie: Pos, Atm e più di recente Internet, anch’esse 
portano ad un ripensamento della struttura distributiva delle banche, queste, infatti 
dovranno scegliere i propri canali distributivi, che non sono più dati solo dalle strutture 
fisiche degli sportelli, ma da varie combinazioni che hanno dato origine alla definizione 
di banca multicanale. 
Tutti questi cambiamenti, hanno comunque al centro il cliente, i suoi bisogni, la sua 
cultura finanziaria, i suoi stili di vita, e sono funzionali alla soddisfazione
16
 e al 
mantenimento di una relazione di lunga durata con esso. 
 
4. Quali strategie competitive? 
 Alla luce delle osservazioni fatte nei paragrafi precedenti, le banche stanno 
ridefinendo le proprie strategie competitive: il fine di una strategia competitiva è quello di 
sviluppare e mantenere una corrispondenza efficace fra gli obiettivi e le risorse 
dell’impresa e le opportunità del mercato. La manifestazione della strategia è costituita 
dal vantaggio competitivo, cioè dal valore che un’impresa è in grado di creare per i suoi 
clienti, tale da fornire risultati superiori rispetto ai costi sostenuti per crearlo.
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 Seguendo 
sempre la letteratura in materia (Porter), le tre strategie competitive di base sono: 
1. la strategia della leadership di costo; 
2. la strategia della differenziazione; 
3. la strategia della concentrazione o focalizzazione. 
                                                                                                                                                  
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 Ogni area funzionale deve avere come riferimento il mercato sia“culturalmente” sia come direttrice 
strategica di sviluppo. Cfr. W.G. Scott, Op. cit. 
14
M. Baravelli, Op. cit. 
15
 Questa situazione richiama gli stessi fattori di contesto che, nel caso delle imprese non finanziarie 
(industriali e commerciali) hanno determinato il passaggio dalla struttura funzionale a quella divisionale. 
16
 Secondo una definizione largamente accolta in letteratura, la soddisfazione risulta dal confronto tra il 
valore del servizio atteso dal cliente e quello effettivamente percepito. Essa risulta pertanto determinata da 
fattori quali il trade-off tra prezzo e qualità oltre che da fattori personali e contingenti. Cfr. C.H. Lovelock, 
Services Marketing, Prentice Hall (1996). 
17
 Cfr.  W.G. Scott, Op. cit.