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Tra percezione e realtà: l’immigrazione e il problematico rapporto con la criminalità

L’approccio criminologico: immigrato reo e vittima

La paura per la criminalità è una risposta tanto emotiva quanto fisica al pericolo di poter essere vittime di stupri, aggressioni, borseggi, persecuzioni, violenza in generale. Al giorno d’oggi, però, nella società italiana vi è la tendenza a legare il fenomeno minaccioso con quello migratorio ritenendo che i crimini commessi dagli immigrati sia qualitativamente superiore rispetto a quelli commessi dagli autoctoni, idea diffusasi ignorando quasi sempre le informazioni che i dati rilevano. A questo proposito, per comprendere come si misura la criminalità, è necessario premettere che la criminologia ne distingue due tipologie, ovvero quella ufficiale e quella non ufficiale. La prima si riferisce all’insieme dei fatti resi noti alle forze dell’ordine, mentre la seconda racchiude tutti gli atti illeciti “fantasmi”, ovvero quelli non denunciati dalla vittima o ignoti a causa della particolar dimestichezza del reo a nascondere il misfatto. Una diretta conseguenza di questa bipartizione è l’impossibilità di avere dei dati certi sull’effettivo numero dei crimini commessi in un dato luogo. Tuttavia, per superare almeno in modo parziale l’ostacolo posto dalla “criminalità sommersa” si sono rese utili due tecniche di indagini, ossia le inchieste di vittimizzazione, che si sostanziano in inchieste periodiche effettuate dall’ISTAT e le indagini di autoconfessione, definibili come studi nei quali si chiede agli individui di rivelare il proprio coinvolgimento in comportamenti criminosi. Questa premessa si è resa utile al fine di comprendere che per la misurazione della criminalità si utilizzano i dati forniti dalle statistiche della delittuosità, nelle quali gioca un ruolo fondamentale la criminalità ufficiale e si compongono di dati forniti alle forze dell’ordine o alla magistratura. Di estrema importanza sono anche le statistiche della criminalità, che fanno riferimento ai reati per i quali l’autorità giudiziaria ha avviato l’azione penale. Nel parlare di criminalità legata al fenomeno migratorio vi è una difficoltà ulteriore, oltre alla già menzionata impossibilità di avere un dato certo che esprima quanti crimini siano stati effettivamente commessi, ovvero l’impossibilità di quantificare il numero di stranieri irregolari. Infatti, la popolazione straniera che vive in Italia è composta dai regolari e dagli irregolari a seconda che posseggano o meno un permesso di soggiorno legale e, come si può facilmente intuire, è proprio il numero degli irregolari presenti sul territorio che resta oscuro, pur essendo maggiormente implicato nella commissione di reati. Come accennato, tra gli italiani disinformati è frequente l’idea che esista un nesso tra straniero e criminale e questa è alimentata dal numero crescente degli immigrati che affollano le nostre carceri, un fenomeno che è stato oggetto di interesse in vari campi delle scienze criminologiche. Alcuni studiosi hanno avanzato alcune ipotesi al riguardo, come quella della sostituzione ritenendo che sia in corso un processo per il quale gli immigrati si stanno sostituendo agli autoctoni nel compimento di specifici reati, riducendo di fatto la criminalità alle analisi del mercato del lavoro. Infatti, così come è comune ritenere automaticamente che la badante sia rumena, altrettanto lo è pensare che lo spacciatore sia marocchino. Tuttavia, l’ipotesi della sostituzione non è una chiave interpretativa che si adatta a tutte le fattispecie criminose, poiché ve ne sono alcune per le quali «non esiste una domanda di vittimizzazione», come nel caso dell’omicidio. Perciò risulta necessario distinguere fra reati di tipo espressivo, come le violenze sessuali, e quelli di natura strumentale, come furti e rapine che hanno prevalentemente lo scopo di accrescere le proprie finanze. Solo per una parte di questi ultimi possono essere usati schemi adattabili anche nella logica del mercato del lavoro «ipotizzando che, se sono diventati meno remunerativi, un numero crescente di italiani abbia smesso di compierli». La vendita di droga nelle strade, la prostituzione, i borseggi e altri crimini ritenuti minori sono considerati prerogativa degli immigrati poiché si ritiene che gli autoctoni si sporchino la fedina penale occupandosi di crimini “più appetibili”. La microcriminalità incide sul senso di insicurezza dei cittadini italiani che, essendo parzialmente collegata al fenomeno migratorio, crea inevitabilmente pregiudizi. Nella realtà dei fatti, però, tra le vittime dei reati si annoverano anche gli immigrati stessi. Nell’assumere un approccio criminologico, infatti, è necessario distinguere i reati commessi dagli stranieri da quelli subiti dagli stessi al fine di arrivare alla consapevolezza che se realmente tendono a rendersi colpevoli di peculiari categorie di fatti illeciti, altrettanto essi sono vittime di specifici reati. Per ciò che riguarda l’immigrato reo, negli ultimi anni i crimini commessi sono soprattutto appartenenti alla sfera della criminalità diffusa piuttosto che di quella organizzata. Si parla, come fatto accenno in precedenza, di prostituzione, rapine e furti allo scopo di ottenere denaro immediato, tipici di categorie sociali più povere e disagiate. Alla lista si aggiungono la produzione e lo spaccio di sostanze stupefacenti sia ai bassi livelli, come nel caso di magrebini reclutati dalle organizzazioni criminali minori che richiedono manodopera a basso costo, sia ad alti livelli, dove è l’immigrato stesso a detenere il monopolio dell’organizzazione criminale come nel caso della mafia albanese, che collabora con quella italiana per lo spaccio di marijuana. Da non dimenticare l’immigrazione clandestina e il suo favoreggiamento, la falsificazione dei documenti, il lavoro sommerso, l’accattonaggio, la vendita di merci contraffatte, le risse, la resistenza all’arresto e l’oltraggio a pubblico ufficiale. Tra i reati che vedono l’immigrato come vittima, trova ampio spazio il fenomeno del traffico di esseri umani, che rispecchia una nuova forma di schiavitù in cui delle decine di migliaia di vittime il maggior numero è composto da donne ai fini di prostituzione e da bambini. Dal punto di vista criminologico, esiste da un lato la tratta di persone in senso stretto, che si sostanzia nell’illegale inserimento dello straniero all’interno di uno stato a fini di lucro in termini di sfruttamento e dall’altro il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ovvero l’introduzione illegale di clandestini. Proprio questi ultimi sono divenuti figure emblematiche e paradigmatiche del processo migratorio. Il clandestino «saturando le rappresentazioni collettive, ricoprendo il ruolo del nemico pubblico sul quale far convergere paure e insicurezze e fornendo l’etichetta perfetta per un processo di criminalizzazione di massa», rappresenta nell’immaginario collettivo la tipologia di immigrati più propensi alla delinquenza. Un esempio di quanto esposto si è verificato nell’estate del 2017, a Milano, in cui vi è stata occasione da parte delle forze di polizia di dare una risposta rassicurante alle proteste dei milanesi riguardanti la minaccia alla sicurezza nazionale e delle loro città derivante dalla “invasione dei clandestini”. Durante l’episodio, i poliziotti hanno attuato le cosiddette campagne di identificazione per il controllo della condizione legale degli stranieri lì presenti placando così i dissensi di chi credeva che la sicurezza e l’ordine pubblico non fossero sotto controllo. Questi e altri episodi hanno avuto l’evidente effetto di rafforzare l’equazione immigrato-criminale. Ulteriore esempio è riconducibile alle prassi giudiziarie nel campo dell’amministrazione della giustizia, sensibili alle opinioni dei cittadini italiani e agli stereotipi prodotti dal senso comune. Negli anni ’90 è stata condotta a questo proposito una ricerca sui procedimenti penali a carico di imputati stranieri condotti spesso in tempi ristretti e con scarse informazioni su cui potersi basare per formulare un giudizio oggettivo. Tale indagine ha evidenziato che

Lo svolgimento relativamente lineare dei procedimenti veniva garantito dal ricorso a categorizzazioni di senso comune largamente diffuse entro gli uffici giudiziari. Tra queste dominava la figura dell’immigrato “irregolare”, “sedicente”, “non integrato” e “criminale” – in alcuni casi per necessità, in altri per scelta – che consentiva di colmare tutte le lacune informative presenti nei fascicoli giudiziari e di creare proprio quelle apparenze normali che rendevano le decisioni assunte dai giudici accettabili per tutti gli attori implicati, ad eccezione, in alcuni casi, dei soli imputati. Tale categorizzazione coincideva perfettamente con la figura dell’immigrato irregolare/clandestino proposta a tambur battente dai media, già in quegli anni, come cifra dell’immigrazione straniera in Italia.

Si evince che nella realtà italiana gli operatori del diritto «confermano stereotipi e rappresentazioni di senso comune prevalenti all’interno e all’esterno del sistema giudiziario».

Questo brano è tratto dalla tesi:

Tra percezione e realtà: l’immigrazione e il problematico rapporto con la criminalità

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Informazioni tesi

  Autore: Eva Quercetti
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2019-20
  Università: Università degli Studi di Siena
  Facoltà: Scienze Sociali
  Corso: Scienze del servizio sociale
  Relatore: Andrea Valzania
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 73

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Parole chiave

mass-media
immigrazione
reati
percezione
criminalità
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detenzione femminile
immigrato criminale
detenzione straniera
linguaggio tendenzioso

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